Maria Chiara Pievatolo, Sulle spalle dei mercanti: teledidattica e civiltà tecnologica
Secondo Giorgio Agamben la teledidattica va rigettata in toto, in quanto barbarie tecnologica che aliena le comunità di conoscenza sottoponendo la discussione a una mediazione obbligata ed eterodiretta. Una mediazione analoga era tuttavia già in atto per la ricerca, e con l’acquiescenza di buona parte degli studiosi: la sua valutazione è amministrativamente sottratta alle comunità scientifiche e affidata a oligopoli editoriali commerciali il cui prodotto principale è sempre più l’analisi di dati ormai non soltanto citazionali. Inoltre, monopoli tecnologici non specifici del microcosmo accademico quali Microsoft e Google, alle cui piattaforme università e scuole italiane sono state indotte a rivolgersi, anche per la teledidattica, durante la pandemia, influenzano da tempo gli atenei: direttamente con finanziamenti selettivi a studiosi e istituzioni non troppo critici sui loro affari; indirettamente, tramite la fornitura di sistemi telematici di insegnamento, di collaborazione, di condivisione, di valutazione e di amministrazione che impongono ambienti di scelta da cui estraggono dati e con cui forgiano comportamenti da smerciare a chi può pagare per comprarseli. Rigettare la teledidattica come tale, in questo contesto, impedisce di criticare specificamente la scelta di piattaforme proprietarie come quelle di Microsoft o Google, e soprattutto di interrogarsi sulla possibilità di una terza via, fra rifiuto apocalittico e compiacimento integrato, per esseri umani “non deliberati dalla macchina ma liberi in rapporto ad essa” (Eco, 1964) – una via che aiuti a trarre vantaggio dalla nuova interattività, “scrivere in cielo alla velocità del pensiero” (Harnad, 2003), resa possibile dalla telematica.
In Italia creare una piattaforma teledidattica nazionale basata su software libero e su un cloud federale, in grado di condividere e di ottimizzare l’uso delle risorse di calcolo locali, sarebbe tecnicamente ed economicamente praticabile, come ha mostrato l’esperienza del Politecnico di Torino e quella del GARR, ente pubblico a cui sono federate le università stesse. Una simile piattaforma, indipendente da multinazionali statunitensi come Microsoft o Google, sarebbe anche rispettosa della normativa europea sulla privacy.
Come mostra una recente conferenza pisana in cui le posizioni si sono confrontate, le università che hanno scelto Microsoft o Google lo hanno fatto con spirito aziendale, nella convinzione che l’informatica sia una computer science neutrale rispetto ai contenuti che veicola e che l’insegnamento possa essere dato in outsourcing a monopoli proprietari senza alterarlo nella sostanza. Per chi invece patrocina la terza via, l’informatica cristallizza e automatizza conoscenza umana passata così che un’università la quale rinunci all’autonomia sulla forma del proprio insegnamento per abbandonarlo a monopoli esterni, rinuncia non a qualcosa di accessorio, ma a una sua vocazione specifica, importante almeno quanto la ricerca. Ma anche da una prospettiva strettamente mercantile, se la “merce” tipica dell’università è una formazione culturale indipendente, rinunciare a offrirla per farsi fungibile ente di addestramento e di sottomissione ai monopoli del capitalismo della sorveglianza è una scelta autolesionistica – a meno che non si preferisca stare col potere invece di esercitare un potere la cui caratteristica sarebbe, kantianamente, quella di aver bisogno della pubblicità per non venir meno al suo scopo.
[English version] According to the philosopher Giorgio Agamben, remote teaching should be rejected as a kind of technological barbarism, because it interferes with the real-time dialogue within knowledge communities by subjecting their discussion to a constrained and hetero-directed mediation. However, a comparable mediation was already in place in the field of research: its evaluation has been administratively subtracted from the scientific community to be handed over to commercial academic publishing monopolies, which are increasingly moving from a content-provision to a data analytics business. Therefore, when Italian universities and schools were induced, during the pandemic, to turn to the proprietary remote teaching platforms of Microsoft or Google during the pandemic, they were just taking another step along a path already trodden. Big Tech has been influencing them for years, both directly, by selectively funding uncritical scholars and institutions, unlikely to disrupt their surveillance business and indirectly, through the provision of research assessment systems, productivity tools and online learning management ecosystems (SPARC, 2019) entailing choice architectures that enable the service providers to extract data and sell analytics and behavioural modifications to those who can pay for them. In this context, rejecting remote teaching as if it were a radical disruption may be rhetorically effective, and yet theoretically unfruitful, both because it fail to critically address the choice of proprietary platforms like such as those offered by Microsoft or Google and because it prevents us from exploring the possibility of a third way, between apocalyptic rejection and integrated complacency. If we could be “not free from the machine, but free in relation to the machine” (Eco, 1964), we would also be able to benefit from “skywriting at the speed of thought“(Harnad, 2003), which is the new kind of interactivity made possible by the ICT revolution.
In Italy, the creation of a national remote learning platform using free software and a federated cloud would be technically and economically feasible, as shown by the experiences of the Politecnico di Torino and of the GARR, a public body to which the Italian universities themselves are federated. Such a platform would also more easily comply with the EU General Data Protection Regulation, because it would not depend from U.S. multinational corporations like Microsoft or Google.
But why have most Italian universities chosen Microsoft Teams or Google Meet? As pointed out in a recent conference in Pisa, many university administrators believe that ICT does not process and shape information, but rather that it is neutral in relation to the contents it conveys, so that teaching can be outsourced to proprietary monopolies without affecting its substance. On the other hand, the advocates of an independent national remote learning platform think that computer science is not just about computers, because it freezes and automatizes chunks of past human knowledge: hence, a university that surrenders the freedom to shape its teaching to Big Tech outsources one of its specific vocations that is at least as important as research. And even from a strictly commercial point of view, the typical commodity of the university is not some kind of social media training, but rather liberal education. Hence, the decision not to provide the latter would be a self-defeating choice – unless universities prefer to side with the powers that be rather than to exert a power which, to quote Kant, requires publicity in order not to fail in its purpose.
1. Teledidattica e pandemia: una questione di fede?
Di ogni fenomeno sociale che muore si può affermare che in un certo senso meritava la sua fine ed è certo che le nostre università erano giunte a tal punto di corruzione e di ignoranza specialistica che non è possibile rimpiangerle e che la forma di vita degli studenti si era conseguentemente altrettanto immiserita.1
Nel marzo 2020 le università italiane, rese inaccessibili dalla pandemia, passarono improvvisamente e interamente alla teledidattica. Su questa decisione d’emergenza, in grado di produrre cambiamenti irreversibili, una parte del dibattito superò i confini delle discussioni di settore. Giorgio Agamben, studioso di filosofia di non poca fama, sostenne che la synousia – lo stare insieme di quella comunità di sapere che era l’università in presenza – sarebbe stata dissolta dalla “barbarie tecnologica”, così che:
i professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente online sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista. Come avvenne allora, è probabile che solo quindici su mille si rifiuteranno, ma certamente i loro nomi saranno ricordati accanto a quelli dei quindici docenti che non giurarono.
Gli studenti che amano veramente lo studio dovranno rifiutare di iscriversi alle università così trasformate e, come all’origine, costituirsi in nuove universitates, all’interno delle quali soltanto, di fronte alla barbarie tecnologica, potrà restare viva la parola del passato e nascere – se nascerà – qualcosa come una nuova cultura.2
Sulla trasformazione delle università in conati d’azienda che perseguono, più che il sapere e lo studio, un simulacro d’eccellenza3 d’imposizione amministrativa, molti si sono esercitati. L’università – oggetto di una disputa tanto secolare quanto ripetitiva4 – deve essere una comunità di conoscenza autonoma in grado di orientarsi da sé oppure, perché non sia autoreferenziale, va giustificata da un’utilità esterna che la espone però a “corruzione” e “ignoranza specialistica”?5 Nella sua ultima metamorfosi, l’utilità non si calcola come felicità o piacere, bensì, bibliometricamente,6 in termini di impatto, computando le citazioni dei “prodotti della ricerca” senza nulla sapere della loro materia.7
Ma può una comunità di conoscenza – in presenza o assenza che sia – rimanere tale quando i suoi componenti non si giudicano più reciprocamente per ciò che dicono o scrivono, ma è loro apposto un marchio di qualità per dove lo scrivono e quanto lo citano? Gli impiegati sottomessi8 alla valutazione sono indotti a assumere come fine il metro su cui sanno che saranno giudicati e a ridurre i loro comportamenti9 a pubblicazioni, citazioni 10 ed espedienti per “truccare” il sistema.11 La misura, divenuta così un obiettivo, smette di essere un indicatore adeguato 12 : su soggetti che ne sono consapevoli essa non opera come una descrizione, bensì, riflessivamente, come un ordine.
Come scriveva13 Kathleen Lynch mentre ancora si faceva lezione prevalentemente in presenza, ricercatori valutati con i metadati estratti dalle loro comunicazioni entro una cerchia privatissima di riviste commerciali, amministrativamente definite d’élite, e secondo la loro capacità d’ottenere finanziamenti su progetti di ricerca da enti per lo più gerarchici tenderanno a trascurare l’insegnamento e la cura degli studenti e a sottrarsi al confronto, da intellettuali non più pubblici ma d’azienda,14 con quanto sta fuori dal recinto in cui si sono lasciati rinchiudere. I docenti hanno cominciato ad assentarsi ben prima che le lezioni cessassero di essere in presenza.
L’assenza fisica dei docenti ha offerto però un appiglio sensibile per una critica all’università altrimenti difficile da far comprendere a persone assuefatte15 alla burocrazia e alla soggezione a poteri amministrativi statali o aziendali16 solitamente sottratti alla discussione pubblica. E tuttavia un appello così indeterminatamente radicale rischia di suonare come una testimonianza di dissenso apocalittica nei toni ma passiva negli atti, come quella dei critici francofortesi dell’industria culturale su cui, nel secolo scorso, Umberto Eco faceva dello spirito:
… non è neppure casuale che, chi conduce a fondo e con coerenza la polemica contro l’industria culturale, faccia risalire il male non alla prima emissione televisiva, bensì all’invenzione della stampa; e, con essa, alle ideologie dell’egualitarismo e della sovranità popolare. In realtà l’uso indiscriminato di un concetto feticcio come “industria culturale” implica, in profondo, proprio l’incapacità di accettare questi eventi storici, e – con essi – la prospettiva di una umanità che sappia operare sulla storia.17
A differenza degli apocalittici di Eco, Agamben però chiama alla reazione, pur tramite media – la scrittura e la stampa – che, ben prima della rivoluzione telematica, hanno distanziato e disgregato le comunità di conoscenza antiche.18 Uno dei suoi critici più integrati, Christian Fuschetto, trovando incoerente appellarsi alla synousia a mezzo stampa, conclude che “se proprio uno dovesse scommettere sul futuro delle universitates, tra Meet e Agamben forse punterei su Meet”.19
Agamben e Fuschetto abbracciano entrambi l’aut aut del giuramento di fedeltà: il primo rigetta la telematica come “barbarie” e il secondo scommette spensieratamente su una delle più occhiute multinazionali del capitalismo della sorveglianza.20 Sia all’apocalittico sia all’integrato la teledidattica appare come una scatola nera da accettare o da rifiutare in toto – come se fosse ora inimmaginabile raccogliere, da uomini di cultura, quanto suggeriva Eco nel 1964, a proposito di media diversamente centralizzati.
… l’atteggiamento dell’uomo di cultura, di fronte a questa situazione, deve essere lo stesso di chi di fronte al sistema di condizionamenti “era del macchinismo industriale” non si è posto il problema di come tornare alla natura, e cioè prima dell’industria, ma si è chiesto in quali circostanze il rapporto dell’uomo al ciclo produttivo riducesse l’uomo al sistema, e come invece occorresse elaborare una nuova immagine di uomo in rapporto al sistema di condizionamenti; un uomo non deliberato dalla macchina ma libero in rapporto alla macchina.21
La rivoluzione digitale ha reso il suggerimento di Eco inattuabile? Le innovazioni tecnologiche – ricordava Joseph Weizenbaum nel 1976 – introducendo nuove possibilità, eliminano però, e forse irreversibilmente, forme di comportamento sociale prima disponibili. Come autostrade e superstrade facilitano chi viaggia in automobile, ma rendono difficilissimo uscire dalle città a piedi o in bicicletta, così i sistemi computazionali complessi ci aiutano a decidere e ad agire, ma allo stesso tempo ci limitano, perché la loro struttura, opaca ai più, riduce i tipi di domande che possiamo porre e di dati che possiamo usare.22 Forse, nel marzo 2020, le limitazioni erano tali che in Italia23 non sarebbe stata possibile – tra rigetto apocalittico e spensieratezza integrata – una terza via?
Ci sarebbe qualche motivo per rispondere di sì, e non soltanto per la capacità dei monopolisti del capitalismo della sorveglianza di manipolare direttamente l’esperienza di tutti i loro usati24 senza la mediazione dell’argomentazione25, ma anche per il loro potere di indirizzare la ricerca stessa. Si pensi, per esempio, all’influenza esercitata da Google tramite il finanziamento selettivo di autori ed istituti di ricerca – “le aziende, tipicamente, sembrano individuare studiosi acritici e preferibilmente con qualche aggancio politico, che forse hanno già abbracciato convinzioni allineate con le multinazionali della tecnologia dell’informazione e della comunicazione” – e ai suoi effetti sulle carriere e sul potere di enti e studiosi in una ricerca pubblica che ormai privilegia chi è in grado di procacciarsi finanziamenti esterni.’26 E ancora: gli avanzamenti in un settore molto di moda come la cosiddetta intelligenza artificiale sono dovuti principalmente alla potenza di calcolo e alla massa di dati concentrati nelle mani di pochi monopolisti tecnologici: Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft.27 Ciò li mette in condizione di dar forma al nostro sapere in proposito, mentre, a nostra volta, quanto di fatto è sotto il loro controllo plasma le nostre vite e le nostre istituzioni.
Timnit Gebru è stata licenziata da Google per aver sostenuto che i modelli di linguaggio per la produzione automatica di testi hanno bisogno di grandi quantità di dati come base d’inferenza statistica e danneggiano, nella loro applicazione, sia l’ambiente naturale sia quello sociale: la natura per il dispendio energetico28 richiesto dalla loro elaborazione; la società perché recepiscono e amplificano gli usi delle lingue dominanti e i pregiudizi in esse inscritti.29 Ma, mentre la sua vicenda ha suscitato scalpore.30, la massa dei ricercatori continua a non godere dello scudo dell’indignazione pubblica.
Tutto ciò accade in una situazione in cui le istituzioni accademiche, sempre più amministrate come aziende in cerca di grandi investitori, trovano difficile ignorare i vantaggi finanziari e di reputazione connessi alla collaborazione e al finanziamento da parte delle multinazionali dell’informatica. Questa dinamica è esaltata dalla sempre maggiore precarietà del lavoro accademico, per la quale sempre meno ricercatori hanno la stabilità o la solidarietà sindacale necessaria per contestare senza rischio linee di condotta che potrebbero compromettere la libertà accademica. Ciò dà alle multinazionali un’influenza crescente non solo sulla ricerca che finanziano direttamente, ma anche sulle decisioni sulle opere da prendere o no in considerazione nell’università in generale.31
La proletarizzazione del lavoro accademico32 è parte di una tendenza generale33 per la quale beni creati collettivamente e resi disponibili gratuitamente non solo sono privatizzati e sfruttati da pochi, ma questo stesso sfruttamento impone a tutti una esperienza cognitiva eterodeterminata e dunque una visione del mondo altrettanto eterodiretta. Che sono, infatti, le citazioni raccolte da Clarivate Analytics e da Scopus con cui si valuta e si indirizza amministrativamente la ricerca se non dati decontestualizzati34 e catturati da un pugno di oligopolisti,35 da loro computati e con loro, talvolta, negoziati?
Non è scontato che il sabotatore della macchina sia un retrogrado abbarbicato al proprio ”particulare“ contro un progresso magnificamente ineluttabile: i luddisti non erano contro la tecnologia in astratto, bensì contro le relazioni di potere asimmetriche che alcune macchine incarnavano.36 In questo senso, dobbiamo prendere sul serio l’ipotesi che una resistenza incoerentemente luddista come quella di Agamben possa essere l’unica ancora praticabile – che l’appello di Eco a una cultura in grado di rendere l’uomo ”non deliberato dalla macchina ma libero in rapporto alla macchina“ sia ormai una forma di integrazione soltanto retoricamente critica.
E però, determinatamente, la rivoluzione telematica ha introdotto la possibilità di forme di synousia indipendenti della compresenza fisica. Dopo i millenni di distanziamento sociale connessi alla prevalenza dalla scrittura e dalla stampa, scriveva Stevan Harnad nel 2003, possiamo di nuovo formare comunità di conoscenza sincrone capaci di ”scrivere nel cielo alla velocità del pensiero“.37 In questo spirito, il World Wide Web offrirebbe gli strumenti per farlo, perché esplicitamente progettato per permettere a chiunque di condividere dati con chiunque altro e dovunque, entro uno spazio virtualmente universale e interconnesso popolato da URI comunque raggiungibili.38 E tuttavia i media sociali commerciali hanno creato, su un dispositivo pensato per essere universale, architetture centralizzate e reciprocamente separate che offrono connessioni fra dati doppiamente private, sia perché sottratte al controllo di chi li produce, sia perché racchiuse in contenitori proprietari e non interoperabili. Il web così, nelle sue applicazioni, è divenuto – lo denunciò il suo stesso inventore39 – assai più simile a un arcipelago di panoptika soggetti a sorveglianza e sfruttamento che a una biblioteca pubblica universale distributivamente accresciuta e catalogata.40
Le lettere produrranno dimenticanza nelle anime di chi impara, per mancanza di esercizio della memoria; proprio perché, fidandosi della scrittura, ricorderanno le cose dall’esterno, da segni alieni, e non dall’interno, da sé: dunque tu non hai scoperto un pharmakon per la memoria (mneme) ma per il ricordo (hypòmnesis). E non offri verità agli allievi, ma una apparenza (doxa) di sapienza; infatti grazie a te, divenuti informati di molte cose senza insegnamento, sembreranno degli eruditi pur essendo per lo più ignoranti; sarà difficile stare insieme con loro (syneinai), perché in opinione di sapienza ( doxosophoi ) invece che sapienti.41
Anche i doxosophoi del Fedro, abbacinati dalla tecnica, fanno di un sistema di elaborazione, di comunicazione e di archiviazione basato su ”segni alieni“ una questione di fede. Platone, però, si sottrae all’aut aut apocalittico per analizzare sia le possibilità, sia i limiti del nuovo medium considerandolo entro la sua infrastruttura socio-culturale. E rendendosi conto che la scrittura ha la capacità di conservare e trasmettere dati (hypomnesis) ma ha difficoltà a riprodurre il sapere che nasce dall’interazione della synousia, applica una soluzione orientata secondo il duplice principio della libertà dei testi e della promozione di comunità di conoscenza.
La soluzione platonica era pensata per un mondo in cui la vita dei testi, che si copiavano a mano, dipendeva ancora interamente dall’interesse e dall’interpretazione delle persone e dalla continuità delle comunità di studio. Dobbiamo però chiederci se una via che si sottrae all’aut aut delle scelte di fede, sia – qui e ora – praticabile.
2. Infrastruttura: una discussione emergente
In senso etnografico,42 l’infrastruttura si intende composta di una struttura materiale sprofondata in un ambiente naturale, culturale e sociale e in prassi, abitudini condivise e norme informali e formali: è data per scontata se opera senza intoppi, ma diventa oggetto di discussione quando non funziona, rivelando l’intreccio di vincoli e di scelte, non tutte consapevoli, che stanno alla sua base.
Per esempio: la posta elettronica è un’infrastruttura critica sia per la pubblica amministrazione in generale, sia per le università e gli enti di ricerca in particolare: e però il CINECA, il ministro dell’Istruzione e buona parte dell’università italiane l’hanno affidata a cloud provider statunitensi quali Microsoft e Google,43 senza particolari fragori apocalittici. Microsoft e Google non sono solo fornitori di posta elettronica: sono padroni di ecosistemi,44 che, dai servizi su cui hanno una posizione dominante, si estendono45 ad altri complementari, in modo che l’usato regali loro dati e metadati di buona parte o di tutte le sue attività.46 Così, come illustrato sotto,47 l’intero lavoro di un ricercatore – dalla scoperta alla valutazione – può rimanere racchiuso in un unico recinto proprietario.
Prima della pandemia era già possibile rendersi conto che gli oligopolisti dell’editoria scientifica commerciale stavano diventando sempre più simili alle multinazionali del capitalismo della sorveglianza,48 trattando la vendita di riviste e libri come accessoria rispetto allo scopo principale, che ora è lo smercio di
sistemi di valutazione, strumenti di produzione e di gestione della teledidattica, cioè infrastrutture complesse essenziali per le transazioni che fanno capo a ciascun partecipante dell’attività universitaria. Con una fornitura integrata di questi servizi, le aziende possono influenzare invisibilmente e strategicamente e forse anche esercitare un controllo su scelte fondamentali quali la valutazione degli studenti, l’integrità della ricerca e la pianificazione finanziaria.49
La pandemia ha sospinto milioni di studenti nelle piattaforme proprietarie di Microsoft e Google, ma nelle università italiane, la discussione sull’amplificazione di un rischio già evidente non è ancora cominciata.50 Le critiche di studiosi e società di studi sono state per lo più ignorate,51 ed è passata sotto silenzio perfino la sentenza della Corte europea di giustizia Schrems II52 che ha riconosciuto l’illiceità del trasferimento – o, per essere più precisi,, della condivisione – dei dati personali degli europei negli USA.53
Nell’ottobre 2021,54 l’infrastruttura che fa capo a Facebook è rimasta bloccata per circa 6 ore. Negli USA il guasto ha toccato attività non indispensabili; in molti paesi in via di sviluppo, invece, sono caduti servizi essenziali per il commercio, la sanità e l’amministrazione pubblica. Ma già nel dicembre 2020, quando un’interruzione mondiale di Google bloccò per circa un’ora una parte consistente della loro teledidattica,55 scuole e università italiane assaggiarono l’esperienza che, qualche mese dopo, avrebbe coinvolto milioni di indiani, filippini o brasiliani. In un paese ancora relativamente ricco e sviluppato come l’Italia è davvero inevitabile abbandonare un’infrastruttura sempre più critica a un’amministrazione di stampo neocoloniale? La teledidattica necessita di risorse di calcolo materiali e immateriali: il cloud computing56 le rende disponibili e condivisibili a richiesta, esonerando gli utenti dalla necessità di acquistarle e, almeno in parte, di amministrarle nelle proprie sedi. Con un margine di scelta via via maggiore per chi li adotta, si possono offrire in cloud un programma, una piattaforma o un’intera infrastruttura. Affidarsi al cloud, però, significa mettere i propri dati sui computer di qualcun altro: un qualcun altro che, in questo caso, è un oligopolista del capitalismo della sorveglianza soggetto per legge a spionaggio statale.57
Per sottrarsi al neocolonialismo digitale non è tuttavia indispensabile rifiutare la tecnica. In Italia, a dispetto della passività dello stato e di buona parte delle gerarchie universitarie, chi ha cercato alternative a Microsoft e Google ha saputo costruirle e trovarle. Il Politecnico di Torino, per la didattica a distanza, ha dispiegato una piattaforma propria basata su Big Blue Button; 58 iorestoacasa.work, nato dall’iniziativa di un gruppo di informatici sostenitori del software libero, ha aggregato una serie di server per videoconferenze59 Jitsi a cui anche il GARR ha contribuito.
Il GARR è “la rete nazionale a banda ultralarga dedicata alla comunità dell’istruzione e della ricerca. Il suo principale obiettivo è quello di fornire connettività ad alte prestazioni e di sviluppare servizi innovativi per le attività quotidiane di docenti, ricercatori e studenti e per la collaborazione a livello internazionale. La rete GARR è ideata e gestita dal Consortium GARR, un’associazione senza fini di lucro fondata sotto l’egida del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Gli enti soci sono CNR, ENEA, INAF, INFN, INGV e tutte le università italiane rappresentate dalla Fondazione CRUI.” 60 Ma, in quanto ente pubblico, federale e senza fine di lucro, può essere molto di più. Il cloud di multinazionali statunitensi come Google, Amazon e Microsoft pare attraente per amministrazioni divise e impoverite perché esonera dall’acquisto e da parte della gestione delle macchine altrimenti necessarie per i propri servizi informatici. Pare attraente anche quando il prezzo da pagare comprende i dati dei docenti e degli studenti,61 la propria libertà e competenza tecnologica, la possibilità di fare scelte reversibili e la trasparenza del software.62
A chi chiede se ci sono alternative, il GARR ne offre una63 non apocalittica: un cloud federale italiano, basato su software libero, che permette di condividere dinamicamente tutte o parte delle risorse di calcolo già presenti nelle università e negli enti di ricerca. I dati, in questo modo, rimangono in Italia, protetti dalle norme europee sulla privacy, e, soprattutto, ciascun ente ha voce in quanto partecipe della federazione.64
2.1 Marzo 2021: informatica o computer science?
Sebbene parte di un sistema universitario programmaticamente indebolito come quello italiano,65 il Politecnico di Torino ha offerto una teledidattica indipendente dalle piattaforme commerciali facendo uso di software libero e federandosi nel cloud del GARR. Questa scelta gli ha permesso di sottrarre i dati di docenti e studenti allo spionaggio statale e alla sorveglianza commerciale, di sviluppare e valorizzare le capacità del proprio personale, di risparmiare denaro e, soprattutto, di essere in ogni momento consapevole di quanto avveniva in un sistema che avrebbe altrimenti preso in licenza come una scatola nera.66 La sua esperienza ha mostrato che Microsoft e Google non sono un destino ineluttabile, soprattutto quando si può contare sul sostegno di un ente pubblico non a scopo di lucro e a vocazione comunitaria. È anche questa ”barbarie tecnologica“?67
Per rispondere, occorre comprendere sia come si giustifica chi affida in prevalenza la teledidattica a Google e a Microsoft, sia che cosa sostiene chi critica questa scelta senza essere ostile all’insegnamento a distanza come tale. Una conferenza pisana del marzo 2021, a cui hanno partecipato la giurista Dianora Poletti e gli informatici Antonio Cisternino e Giuseppe Attardi,68 ha illustrato le due posizioni con grande efficacia. Cisternino (1) ha trattato la scelta degli strumenti come una decisione tecnico-amministrativa in uno stato di emergenza che non consentiva progetti a lungo termine. Attardi, invece, (2) si è interrogato sui suoi effetti considerando un tempo più ampio e un orizzonte culturale anziché solo amministrativo.
- Teledidattica: una questione d’ amministrazione. Al Politecnico di Torino, che aveva coltivato competenze su Big Blue Button non è stato né difficile né costoso applicare e accrescere quanto aveva già in casa. Le università che hanno offerto una teledidattica basata sulle piattaforme proprietarie di Microsoft o Google hanno similmente adottato la soluzione nell’immediato più semplice e a buon mercato, non potendosi permettere né le economie di scala e i salari delle multinazionali, né i costi di adeguamento alla complessa normativa europea sulla privacy.69 E perché studenti e docenti dovrebbero discutere, fra le deliberazioni tecniche delle amministrazioni universitarie, proprio quelle sugli strumenti teledidattici? Le università hanno in casa le competenze per produrre da sé energia elettrica o automobili, ma a nessuno viene in mente, in un regime di risorse scarse, di applicare autarchicamente i professori di fisica e di ingegneria alle forniture energetiche e ai veicoli dell’università.
- Teledidattica: una questione d’insegnamento. L’università non fa solo ricerca, ma fa ricerca e insegna. E proprio perché l’insegnamento è la funzione che la caratterizza, essa ha il compito di fare cultura – non prodotti, cultura – anche sull’uso didattico degli strumenti informatici. Il Politecnico di Torino non si è trovato in mano Big Blue Button e alcuni tecnici esperti per accidente, ma perché, rispondendo alla sua vocazione, l’aveva studiato, come si può col software libero, e sperimentato al di là dell’immediato bisogno. Non è una novità che persone qualificate siano pagate meglio da aziende private che dal pubblico: ma l’università potrà continuare a esistere solo se e in quanto ha un orizzonte ulteriore rispetto al profitto – se e in quanto continuerà ad attirare esseri umani che preferiscono sperimentare e ricercare sulla didattica, che li riguarda direttamente in quanto insegnanti, così come sulle fonti energetiche e sui veicoli.70 In generale, un’università che si fa azienda e cliente appaltando ad altri le proprie attività specifiche e privandosi della possibilità di scegliere e di sperimentare, rischia di diventare prima ancillare71 e infine superflua. Le lectiones dell’università medioevale erano letture pensate per un’ epoca in cui testi erano rari; le lezioni di oggi devono fare i conti con un sistema in cui scrivere in cielo alla velocità del pensiero è diventato quotidiano e banale. Dobbiamo dunque studiare e sperimentare forme e strumenti didattici che presuppongano e traggano vantaggio dall’accessibilità dei testi e dalle nuove capacità d’interazione. Perché mai delegare questo compito a multinazionali che lucrano sul controllo dei nostri dati e dalla nostra dipendenza da software e piattaforme proprietarie? Anche se avremmo dovuto piantare l’albero dell’indipendenza tecnologica vent’anni fa, il secondo momento migliore per farlo – così recita un detto cinese – è ora.
Queste due tesi possono essere ricollegate a due diverse interpretazioni dell’informatica:
- L’informatica è una computer science che progetta sistemi neutrali per immagazzinare, assemblare e movimentare dati. È pertanto indifferente che questi siano liberi o proprietari, presi in licenza come scatole nere oppure fatti in casa e interamente noti, centralizzati nelle mani di pochissimi oligopolisti, o disseminati e decentrati nelle organizzazioni che li usano e che cooperativamente li sviluppano. La differenza, se c’è, va calcolata, nelle sedi decisionali appropriate, in termini di costi e di efficienza, come si addice a un’università-azienda organizzata gerarchicamente.
- L’automazione promossa dall’informatica consiste nella costruzione di sistemi formali e di procedure eseguibili da macchine in grado di attuarsi senza l’intervento di interpreti umani.72 In questo senso le sue regole sono più forti di quelle del diritto, applicabili solo con la mediazione di persone.73 Anche una piattaforma teledidattica offre un sistema di relazioni, di strutturazione, di raccolta e di selezione di dati automatico, e come tale rigido, non negoziabile e non interpretabile,74 la cui determinazione è interamente in mano a chi ne ha il controllo.75. Scegliere software libero, il cui codice è noto e modificabile e piattaforme locali o comunitarie non è dunque un lusso, ma una necessità: trasferire le proprie aule e le proprie biblioteche in ambienti virtuali soggetti a sorveglianza e usi non negoziabili significa semplicemente alienare il controllo sul nostro insegnamento,76 sui nostri testi77 e sulla nostra ricerca.78
2.2 Pedagogia: universitaria o tecno-feudale?
Era caratteristica dell’università pensata da Wilhelm von Humboldt “continuare a trattare la scienza come un problema ancora non del tutto risolto e perciò rimanere sempre alla ricerca.” 79 In un’università così immaginata, l’insegnamento non avrebbe potuto ridursi a un’erogazione automatizzata di nozioni80 perché il suo scopo, in continuità con la ricerca, era render partecipi gli studenti di indagini non ancora concluse. Ma, humboldtianamente o no, in aula o in teleconferenza, docenti e studenti dovrebbero chiedersi che cosa, come e perché si insegna, e se e come è possibile imparare in ambienti in cui, con o senza la forza inflessibile dell’automazione, sono schedati, sorvegliati, condizionati ed eventualmente censurati,81 come hanno facoltà di fare le piattaforme.
Un’università liberale82 e un’informatica umanistica, cioè trasparente e distribuita perché gli esseri umani la possano conoscere senza esserne usati, sarebbero la via maestra per uscire dalla ”barbarie tecnologica“. E però una civiltà tecnologica non si costruisce su contrapposizioni binarie: l’università, comunque la si pensi, è anche un’entità amministrativa. Perché mai un’università intesa così – anche se non soltanto così – dovrebbe trovar conveniente affidarsi, per le sue ”merci“ caratteristiche, a oligopolisti in grado di governare il mercato e allo stesso tempo competervi, i quali stabiliscono di fatto regole incontrollabili e a proprio favore?83
L’università, nella storia europea, esercitò un’influenza potente sui comportamenti umani, anche al di là del mondo del sapere, offrendo punti di vista alternativi a quelli dominanti. Si pensi, per esempio, al ruolo che ebbe un professore universitario in una rivoluzione dell’età moderna diversa da quella scientifica.
Lutero è professore universitario e in quanto tale ottiene udienza e credibilità presso i principi e l’opinione pubblica, prevalendo in quanto universitario sui prelati della Chiesa ufficiale: la Riforma può attecchire perché da tempo ormai l’università si è affermata come un magistero di tipo nuovo, in collusione o collisione con il nuovo potere politico statale, e il sacerdozio gerarchico può essere attaccato con successo anche perché lo si può sostituire con una figura nuova di protagonista-professionista il cui paradigma più alto è costituito dal professore universitario.84
Oggi atenei di antica reputazione preferiscono affidare i loro dati, come materia grezza avulsa dai contesti, alle multinazionali di un capitalismo della sorveglianza che vendono modificazioni comportamentali per l’uso di chi può permettersi di comprarle, o per l’agenda politica di partiti e stati post-democratici e no. Di nuovo, messa fra parentesi la corruzione strutturale menzionata sopra, quale sarebbe la convenienza, anche economica, di trasferire il proprio potere d’influenza a qualcuno che non è solo fornitore di servizi, bensì concorrente?
I teorici del tecno-feudalesimo suggeriscono che per le aziende che si affidano ai capitalisti della sorveglianza non si tratti più di competitività e di profitto, ma di protezione e sfruttamento.85 Nel microcosmo della comunicazione scientifica, la valutazione bibliometrica, pur avendo generato oligopoli editoriali via via più concentrati,86 esonera, sia pure a prezzi predatori, gli amministratori, locali e statali, dalla responsabilità di giudicare e anzi dà al loro giudizio una parvenza di oggettività.87 Questa protezione, ai loro occhi, giustifica la sottomissione culturale ed economica dell’università: i nani sulle spalle dei mercanti – o forse, più propriamente, sotto i loro piedi – non vedono più lontano ma con più sicurezza, perché delegano ad altri la responsabilità dello sguardo.88
Nel macrocosmo, gli ecosistemi di Google, Amazon, Facebook, Microsoft e Apple, resi più forti dall’effetto rete, dalle economie di scala, dal controllo effettuale di una gran quantità di dati e da monopoli intellettuali sostenuti e ampliati per motivi sempre meno tecnici e sempre più ideologici,89 controllano l’attenzione e i flussi di dati generati dal comportamento dei connessi. Questo permette loro di applicare programmi basati su algoritmi che prevedono e orientano le azioni degli utenti e di estrarne profitti, smerciando pubblicità e propaganda mirata. Gli utenti, in cambio, ottengono relazioni e indicazioni di cui pare difficile fare a meno. Infatti, il controllo degli spazi di interazione e di osservazione e cattura90 dei dati personali produce di per sé ambienti di scelta che condizionano le loro opzioni, in base a criteri a loro oscuri.91
A differenza che nel capitalismo industriale, le piattaforme non possiedono mezzi di produzione bensì strumenti per organizzare la produzione stessa, vale a dire reti d’informazione private in cui applicare algoritmi i quali mettono o non mettono in contatto, mostrano o nascondono, esigono denaro dai produttori-vassalli ed estraggono altri dati dalle loro interazioni e da quelle dei loro clienti, così da renderli ancor più dipendenti.92
Dal punto di vista dei consumatori, non è nemmeno indispensabile che gli algoritmi prevedano davvero i loro comportamenti futuri: come insegna il mito di Edipo,93 le profezie che i sacerdoti di Delfi distillano dalla trance della Pizia tendono ad avverarsi, se i destinatari, abituati a confidare all’oracolo ogni loro problema, sono indotti a ritenerle vere.94 Entrare nel cerchio dell’oracolo significa però uscire da un mercato in cui nessuno dipende dalla benevolenza altrui95 e rinunciare a conoscere se stessi: anche in questo caso, come già menzionato, la presunta descrizione, per chi è tenuto a prestarle fede, opera a tutti gli effetti come un ordine.96
Gli strumenti che usiamo – scriveva Weizenbaum97 – hanno sempre una funzione pedagogica, perché applicano e tramandano le modalità di rapporto col mondo secondo le quali sono stati progettati. Anche le piattaforme di Microsoft o Google per la teledidattica non sono meri strumenti per insegnare, ma hanno una loro pedagogia: la pedagogia della minorità digitale. Un servizio chiavi-in-mano, spesso in apparenza gratuito, rende amministratori, tecnici, docenti e studenti, ciascuno a proprio modo, passivi, disimpegnati, dipendenti, ignoranti, assuefatti.98 Forma cioè persone per le quali la piattaforma è come un dato d’ambiente immodificabile che non può essere oggetto di scelta, ma tutt’al più di addestramento e può venir messo in discussione solo da apocalittici debitamente emarginati. Ma questa pedagogia si addice a un’università che, pur senza voli ideali, desideri attirare studenti offrendo qualcosa di così specifico da non essere rimpiazzabile, direttamente o indirettamente, dalle piattaforme tecno-feudali?
L’università medioevale – l’Universitas Magistrorum et Scholarium – era una corporazione di docenti e di studenti investita del monopolio dell’insegnamento superiore (studium), autonoma amministrativamente e giurisdizionalmente. Lo storico William Clark la rappresenta come un ordinamento legittimato da un’autorità tradizionale, propenso a pratiche che in altre epoche sarebbero sembrate nepotismo e corruzione,99, quali lo scambio di doni o la cooptazione basata su parentela o anzianità. E però quell’università corporativa e poco incline alla ricerca, ancorché sovranazionale e connessa con l’universale,100 era collettivamente autonoma e permetteva, in una società di ceti in cui la libertà era un privilegio, di sperimentare rapporti fra pari101 anche a chi Pari non era: “sugli studiosi come tali solo studiosi possono giudicare”102 In un mondo ancora in gran parte feudale, traeva la sua forza proprio dalla sua capacità di offrire un’alternativa che altrove – in forma di jacqueries ed eresie – difficilmente perdurava. Ma, nell’attuale regime tecno-feudale, che bisogno c’è, quale attrattiva mercantile può avere, per chi ci studia e per chi ci insegna, un’università che addestra a una sottomissione che si può e si potrà imparare sempre meglio anche altrove? Al netto della corruzione strutturale,103 un’università può permettersi di diventare vassalla senza perdere – mercantilmente, prima che idealmente – la propria ragion d’essere?
3. La forma della pubblicità
Nel 2021 Karen Maex, ingegnera elettronica e rettrice dell’università di Amsterdam, in un discorso che in bocca a un rettore italiano sarebbe suonato straordinario,104 chiese al legislatore europeo un Digital University Act che garantisse a università spesso incapaci di difendere i loro interessi culturali e amministrativi, uno spazio libero dalla signoria tecno-feudale, a difesa della conoscenza indipendente e pubblica. Se il potere tecno-feudale dipende dalla raccolta dei dati, non bastano norme sulla privacy aggirabili tramite richieste di un consenso tipicamente disinformato,105: è proprio la raccolta che la legge dovrebbe regolare, proponendosi di:
- assicurare che i dati di ricerca siano oggetto di archiviazione e accesso pubblico organizzato da università e infrastrutture altrettanto pubbliche;
- garantire un accesso aperto alle pubblicazioni universitarie in lettura e scrittura libero dal controllo e dal commercio privato dei relativi dati;
- fare sì che gli strumenti digitali di apprendimento e ricerca siano generalmente sotto controllo pubblico e su pubbliche infrastrutture; se in parziale collaborazione con piattaforme private, le università devono influenzarne le scelte di sviluppo e controllarne la raccolta e l’elaborazione dei dati degli utenti;
- esigere che docenti e ricercatori accedano ai dati delle piattaforme che usano.
La richiesta di una tutela speciale da parte del legislatore dell’Unione Europea è di spirito humboldtiano.106 Ma un’unione di post-democrazie così corrotte – o così rigide107 – da non aver sospeso i brevetti sui vaccini nel corso di una pandemia108 è in grado di accordare una simile tutela senza esporre l’università a ulteriori compromessi con forme vecchie e nuove di assolutismo burocratico?109 E soprattutto un’isola di accesso aperto a dati e testi in un oceano di piattaforme tecno-feudali potrebbe sostenere un uso pubblico della ragione in grado di uscire dalle aule senza rischiare di essere a sua volta oggetto di sfruttamento tecno-feudale?110
Nella seconda parte dell’appendice al suo progetto filosofico Per la pace perpetua, Immanuel Kant sosteneva che l’ordinamento di uno stato più essere giusto solo se è pubblico, perché
- in negativo, è ingiusto qualsiasi progetto politico che, occupandosi dei diritti altrui sulla base di una intenzione nascosta, sarebbe esposto al fallimento qualora questa fosse rivelata;
- in positivo, è invece giusto un progetto politico che ha bisogno della pubblicità per riuscire nel suo intento.
La duplicazione dell’argomento nasconde una questione strutturale. Un progetto che riguarda la collettività è certo necessariamente ingiusto, perché basato sull’inganno, se tutti si ribellano una volta scopertone l’intento recondito. Ma enunciare il proprio programma in pubblico senza che nessuno protesti non è una condizione sufficiente per ritenerlo giusto: potremmo, infatti, trovarci in uno spazio comunicativo soggetto alla minaccia della forza o al condizionamento di piattaforme tecno-feudali che traggono denaro e potere dalla produzione di modifiche comportamentali dei loro utenti.111 Una pubblicità di questo tipo – commerciale, propagandistica, paternalistica, oligarchica – non può garantire che un progetto sia giusto.
La pubblicità di cui un progetto giusto avrebbe bisogno per ottenere il suo scopo è una condizione strutturale non empirica bensì ideale, nella quale la libertà di parlare e di conoscere è a tal punto diffusa, protetta e rispettata da permetterci di considerare legittimi i disegni che possono realizzarsi solo se e perché le persone sono in grado di parteciparvi con un consenso libero e informato.
L’insegnamento, almeno se è inteso come paideia e non come addestramento, ha bisogno della pubblicità in senso strutturale, vale a dire in quanto parte di una comunità politica che si riconosca come democratica in un senso non solo propagandistico.112, e non in quanto precario destinatario di un’ eccezione concessa da Leviatani statali e commerciali.113 Uscire dalla “barbarie tecnologica” rimarrà tanto più difficile se questioni non solo tecniche come decentralizzazione, interoperabilità, autonomia digitale,114 resteranno confinate nell’“ignoranza specialistica” e, soprattutto, se la politica e la legislazione continueranno a operare per composizione di interessi particolari senza affrontare, nella didattica come altrove, aspetti strutturali e infrastrutturali.
La conferenza pisana del marzo 2021 mostra che, anche senza una legge, in Italia le università, distributivamente o collettivamente, disporrebbero ancora di idee, strumenti e istituzioni – quali il GARR – per una teledidattica che non sia servitù e “barbarie tecnologica”, ma contribuisca a un uso pubblico della ragione tecnologicamente civile. La decisione di stare col potere, come sostituibili vassalle tecno-feudali per lo smercio di addestramento e soggezione, invece di avere potere in quanto luoghi di pensiero critico attivo nelle menti e nelle macchine, non era e non sarebbe obbligata.
A chi però, a scuola come all’università, è stata data assicurazione del contrario ed è stato lasciato solo davanti a Microsoft Teams, conviene forse rileggere quanto scriveva Joseph Weizenbaum rivolgendosi proprio agli insegnanti:
It is a widely held but a grievously mistaken belief that civil courage finds exercise only in the context of world-shaking events. To the contrary, its most arduous exercise is often in those small contexts in which the challenge is to overcome the fears induced by petty concerns over career, over our relationships to those who appear to have power over us, over whatever may disturb the tranquility of our mundane existence.115
e adoperarsi, come se tutto il mondo dipendesse dalle scelte compiute di volta in volta da ciascuno,116 a continuare a riflettere sulla pedagogia implicita negli strumenti amministrativamente imposti per cercare e sperimentare alternative (tele-)didattiche libere e pubbliche.
Appendice
A.Il formato delle presentazioni: (non) condividere PDF su Microsoft Teams
Un docente che fa lezione in aula può produrre lucidi con il software che preferisce, anche libero, e può proiettarli nel formato che vuole. Se invece fa lezione su Microsoft Teams e tenta di condividere un PDF scopre che “al momento è supportata solo la condivisione dei file di Power Point“, programma proprietario che la Microsoft stessa dà in licenza (Fig.:Teams). Il professore – si dirà – può, ancorché più scomodamente, mostrare il PDF tramite la condivisione del suo scherma. Ma chi lo dice dà per scontato che Microsoft abbia titolo a stabilire unilateralmente i modi e i mezzi con cui si fa lezione, e tocchi all’insegnante destreggiarsi fra le soluzioni che gli sono imposte.
Propriamente, Microsoft Teams non aiuta le persone a incontrarsi: è un sistema di mediazione che interpreta i dati estraibili da loro decidendo che cosa rappresentare e che cosa no. Per quel che ne sappiamo, in questa condizione, “la stessa tecnologia che viene adottata per introdurre filtri che alterano lo sfondo con il fine dichiarato di “proteggere la privacy” dei “partecipanti” ad una teleconferenza, potrebbe anche essere usata per sostituirne i volti, le voci o le affermazioni, in tempo reale”. 117
B. La biblioteca esautorata: l’accesso pubblico per Google Scholar
Un ricercatore con un profilo su Google Scholar, se ha pubblicato qualche articolo soggetto a un mandato di accesso aperto che non ha però reso disponibile, se lo vede rammentato da Google come nella figura qui sopra. E in una pagina esplicativa118 Google afferma che perché gli articoli da rendere accessibili siano indicizzati nel profilo dell’autore occorre o che l’archivio in cui sono depositati sia indicizzabile da Google stesso o che siano caricati su Google Drive, come si vede nella figura qui sotto. Così, un’azienda privata che vende sorveglianza e manipolazione si presenta come biblioteca universale, fornitrice di analisi bibliometriche in virtù della sua posizione dominante e della sua potenza di calcolo e di archiviazione.119 Anche al netto dello spionaggio per conto dei servizi segreti statunitensi, nulla garantisce che gli interessi di Google rimangano – se mai lo sono stati – allineati con i fini dell’accessibilità e della conservazione dei testi istituzionalmente propri delle biblioteche pubbliche.120
C. Risposte ad alcune osservazioni anonime
Una versione ridotta di questo articolo è stata respinta da una rivista a revisione riservata a cui la valutazione di stato ha conferito amministrativamente la classe A. Qui sotto riporto, fra le osservazioni che ho ricevuto e con il consenso degli anonimi, quelle a mio parere meritevoli di pubblicità o di risposta.
C.1 Flussi di lavoro, recinti proprietari, barriere disciplinari
Il revisore contesta l’illustrazione dei flussi di lavoro visibile sopra, talmente nota e citata nel dibattito sulla scienza aperta che gli autori, Bianca Kramer e Jeroen Bosman, l’hanno resa disponibile separatamente.
La legenda delle immagini riporta il flusso di lavoro di Microsoft e Google. Dopo aver passato lungo tempo a cercare di capire il loro significato, poiché non sono richiamate nel testo, finalmente si scopre che il flusso in alto rappresenta il lavoro di un ricercatore, dalla scoperta alla valutazione (come indicato nel testo nella riga precedente le immagini), mentre la parte in basso ci sono gli strumenti messi a disposizione per ogni elemento del flusso. Partendo dal fatto che il lavoro di un ricercatore non comincia con la scoperta, bensì con lo studio dei dati e delle fonti, da analizzare profondamente per poi “forse” arrivare a una scoperta (si può cercare arrivando alla conclusione che non c’è niente in quella direzione e che occorra prenderne un’altra), l’utilizzo degli strumenti messi a disposizione nelle immagini sia da Microsoft che da Google per ogni fase del flusso di lavoro è del tutto personale, e quindi occorre specificarlo, oppure manca ogni riferimento a fonti e dati.
Come suggerito dal verbo modale “può”, e anche nel riferimento originale, i due flussi di lavoro racchiusi interamente in recinti proprietari sono ipotetici. Tuttavia, l’uso anche teledidattico di servizi offerti da Microsoft o Google rende l’ipotesi più verosimile, proprio perché, come scrive l’anonimo, “occorre mettere in rilievo che Microsoft e Google non sono piattaforme ’di’ teledidattica, come invece si vuol far passare nell’articolo, sono invece infrastrutture che offrono servizi integrati che possono essere “anche” utilizzati a supporto della teledidattica”. Ed è ben ovvio che la ricerca comincia con lo studio dei dati e delle fonti: ma un ricercatore che lavora completamente o esclusivamente in rete, come li trova, se non con i motori di ricerca che nell’illustrazione sono associati a quanto gli autori chiamano ”discovery“?
C.2 Pregiudizi algoritmici
Scrive l’anonimo, criticando una tesi impropriamente attribuita a me:
“L’informatica è computer science che progetta sistemi neutrali”. Sul bias algoritmico nell’informatica, la letteratura scientifica continua a produrre numerosissimi articoli presentati in conferenze annuali.
Proprio per questo, non sarebbe meritevole di discussione il fatto che la scelta di un’università di affidarsi – e non solo per la teledidattica – a ecosistemi proprietari sia presentata e giustificata come una deliberazione esclusivamente tecnico-amministrativa, come se il problema dei pregiudizi fosse oggetto di conferenze specialistiche ma non riguardasse docenti e studenti?
C.3 Parlare d’altro
La trattazione appare debole e a tratti semplicistica (p. e. “le lezioni di oggi devono fare i conti con un sistema in cui scrivere in cielo alla velocità del pensiero è diventato banale”). Non vengono presentati dati rilevanti. Ritengo che sia necessario specificare quali sono le piattaforme alle quali si fa riferimento nel contributo. Solo quelle con funzionalità di call conferencing (es. Microsoft Teams, Google Meet) o anche le virtual classrooms (es. Google Classroom) e gli ambienti di apprendimento sviluppati con gli LMS (es. Moodle)? Si tratta di software con caratteristiche e impieghi ben differenti ed è opportuno contestualizzarli. Questo permetterebbe di comprendere meglio la riflessione. A questo proposito, suggerisco di far riferimento solamente agli strumenti di call conferencing e di eliminare la figura relativa al flusso di lavoro in quanto presenta software solo parzialmente relativi alla didattica.
Per l’anonimo l’articolo avrebbe dovuto offrire una rassegna empirica delle piattaforme impiegate nella didattica a distanza universitaria e su questa base suggerire, passando dall’essere al dover essere, ”buone prassi open“, secondo questa struttura:
1. STATO DELL’ARTE: 2. DIDATTICA A DISTANZA UNIVERSITARIA; 3. PIATTAFORME IMPLEMENTATE (con dati); 4. BUONE PRASSI OPEN; 5. DISCUSSIONE; 6. CONCLUSIONI.
Un articolo organizzato così avrebbe risposto alla critica di Giorgio Agamben e alla sua preoccupazione apocalittica, forse poco originale ma non infondata,121 secondo la quale la telematica in quanto tale sottrae a docenti e studenti la libertà dell’interazione didattica? Agamben non critica solo la teledidattica, ma l’intero sistema che la circonda: a suo parere l’ ”iperspecialismo“ e la ”barbarie tecnologica“ sono gabbie talmente rigide ed eterodeterminate da rendere ogni discussione impossibile. La sua preoccupazione merita di essere presa sul serio, anche perché ripete l’argomento del mito del Fedro citato sopra, che si ripropone ogni volta che una nuova tecnologia della parola pare offrire mezzi di comunicazione che non uniscono, ma alienano e che tuttavia amplificano e potenziano la condivisione e la conservazione dei dati come osservò a suo tempo il ”semplicistico“ Stevan Harnad.
Most persons are surprised, and many distressed, to learn that essentially the same objections commonly urged today against computers were urged by Plato in the Phaedrus (274–7) and in the Seventh Letter against writing. Writing, Plato has Socrates say in the Phaedrus, is inhuman, pretending to establish outside the mind what in reality can be only in the mind. It is a thing, a manufactured product. The same of course is said of computers. Secondly, Plato’s Socrates urges, writing destroys memory. Those who use writing will become forgetful, relying on an external resource for what they lack in internal resources. Writing weakens the mind. Today, parents and others fear that pocket calculators provide an external resource for what ought to be the internal resource of memorized multiplication tables. Calculators weaken the mind, relieve it of the work that keeps it strong. Thirdly, a written text is basically unresponsive. If you ask a person to explain his or her statement, you can get an explanation; if you ask a text, you get back nothing except the same, often stupid, words which called for your question in the first place. In the modern critique of the computer, the same objection is put, ‘Garbage in, garbage out’. Fourthly, in keeping with the agonistic mentality of oral cultures, Plato’s Socrates also holds it against writing that the written word cannot defend itself as the natural spoken word can: real speech and thought always exist essentially in a context of give-and-take between real persons.Writing is passive, out of it, in an unreal, unnatural world. So are computers.122
Nel mito platonico, Thamus obietta che la pur formidabile invenzione di Theuth non produce sapere e insegnamento, bensì soltanto dati e addestramento. Per superare la critica del faraone sarebbe bastato offrirgli una rassegna empirica di alfabeti e una collezione di dati d’uso, da cui estrarre ”buone pratiche“? Oppure Theuth avrebbe potuto liquidarla chiedendogli di presentargli ”dati“ a sostegno della sua affermazione? Platone, proprio perché sceglie di scrivere, preferisce prendere sul serio123 l’obiezione di Thamus e capire se e a quali condizioni è possibile far uso della scrittura senza ridurre il sapere a dati e l’insegnamento da essa mediato ad addestramento ”doxosofico“.
Analogamente, una risposta che prenda sul serio la critica di Agamben dovrebbe porsi, di fronte alla potenza e pervasività degli ambienti telematici forgiati dal capitalismo dei monopoli intellettuali,124 una questione analoga: è possibile praticare una teledidattica tecnologicamente civile? E se sì, a quali condizioni? Gli “apocalittici”, questa volta, potrebbero aver ragione – e averla tanto di più se replichiamo, a chi contesta la capacità dei dati di produrre sapere, semplicemente sfoggiandone collezioni o, meglio, catture, 125 invece che nel modo più dialettico di un dialogo filosofico.
Bibliografia
Big Data, Open Data, Data Infrastructures and Their Consequences, Los Angeles-London: Sage, 2014.
- Requiem per l’università?, ora in Giorgio Agamben, “Requiem per gli studenti,” in A che punto siamo? L’epidemia come politica Macerata: Quodlibet, 2021, sec. 16.↩︎
- Agamben, sec. 16.↩︎
- Si veda per esempio Bill Readings, The University in Ruins Cambridge (Mass.): Harvard U.P., 1996, ch, I.↩︎
- Stefan Collini, What Are Universities for?, Penguin Books, 2012, ch. 2.↩︎
- E che favorisce, dal lato del pubblico, minorità e superstizione, come notava a suo tempo Kant (Immanuel Kant, Der Streit Der Facultäten, 1798, AK 30-32).↩︎
- L’uso di indicatori numerici è volto a rendere le persone amministrabili o, meglio, programmabili senza più la mediazione del diritto (Alain Supiot, La gouvernance par les nombres, Fayard Paris, 2015, 10).↩︎
- Mario Biagioli (Mario Biagioli, “Quality to Impact, Text to Metadata: Publication and Evaluation in the Age of Metrics,” KNOW: A Journal on the Formation of Knowledge 2, no. 2 2018: 251, https://www.journals.uchicago.edu/doi/10.1086/699152) scrive che la bibliometria è una conoscenza doppiamente aliena, perché determinata sugli studiosi e non dagli studiosi, e per l’uso di funzionari non interessati a comprendere i testi. La sua decontestualizzazione e neutralizzazione rispetto ai contenuti può essere letta come un caso particolare della neutralizzazione e decontestualizzazione dei dati usati per mettere a punto le cosiddette intelligenze artificiali (Kate Crawford, Atlas of AI Power, Politics, and the Planetary Costs of Artificial Intelligence New Haven and London: Yale University Press, 2021, ch. 3).↩︎
- La valutazione amministrativa, qualsiasi siano i suoi criteri, non è in primo luogo una questione di metriche ma di potere (Maria Chiara Pievatolo, “La bilancia e la spada: scienza di stato e valutazione della ricerca,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2017, https://commentbfp.sp.unipi.it/maria-chiara-pievatolo-la-bilancia-e-la-spada-scienza-di-stato-e-valutazione-della-ricerca/): sarebbe dunque riduttivo discutere delle prime senza considerare la seconda (Maria Chiara Pievatolo, “Open Science: Human Emancipation or Bureaucratic Serfdom?” SCIRES-IT : SCIentific RESearch and Information Technology 10 2019: 35–52, https://doi.org/10.2423/I22394303V10SP35).↩︎
- L’auditing universitario plasma i suoi soggetti per renderli misurabili, sottraendo tempo alle attività che ne richiedono di più, come la ricerca e l’insegnamento e sconnettendole dai contesti in cui sono incastonate. Si vedano Keith Hoskin, “The ‘Awful Idea of Accountability’: Inscribing People into the Measurement of Objects,” in Accountability: Power, Ethos and the Technologies of Managing International Thomson Business Press, 1996, https://www.gwern.net/docs/statistics/decision/1996-hoskin.pdf) e Marilyn Strathern, “’Improving Ratings’ Audit In The British University System,” European Review 5, no. 3 1997: 305–21, https://archive.org/details/ImprovingRatingsAuditInTheBritishUniversitySystem), che contribuirono a riformulare la legge di Goodhart per l’uso delle scienze sociali in generale.↩︎
- Alberto Baccini, Giuseppe De Nicolao, and Eugenio Petrovich, “Citation Gaming Induced by Bibliometric Evaluation: A Country-Level Comparative Analysis,” PLOS ONE 14, no. 9 2019, https://doi.org/10.1371/journal.pone.0221212.↩︎
- Mario Biagioli, “Watch Out for Cheats in Citation Game,” Nature, 2016, http://www.nature.com/news/watch-out-for-cheats-in-citation-game-1.20246.↩︎
- Questo principio, noto come legge di Goodhart, è connesso alla riflessività dell’azione sociale (Pievatolo, “La bilancia e la spada: scienza di stato e valutazione della ricerca” 49 ss).↩︎
- Kathleen Lynch, “Control by Numbers: New Managerialism and Ranking in Higher Education,” Critical Studies in Education, 2014, http://dx.doi.org/10.1080/17508487.2014.949811.↩︎
- L’estensione della valutazione amministrativa alle attività del cosiddetto terzo settore, anche per fini collettivi come quelli suggeriti dal Forum Disuguaglianze Diversità nella quarta parte delle sue Quindici proposte per la giustizia sociale (2019), frammenta l’uso pubblico della ragione in unità ispezionabili e schedate e lo priva del suo significato intrinseco (v. Bénédicte Vidaillet, Évaluez-Moi ! Évaluation Au Travail : Les Ressorts d’une Fascination, Paris Le Seuil, 2013, ch. I, trad. it. Bénédicte Vidaillet, Valutatemi! Il fascino discreto della meritocrazia, trans. Davide Borrelli, Angela Pelliccia, and Mihaela Gavrila, Novalogos Aprilia, 2018.↩︎
- Si veda il caso esemplare riferito da Giuseppe Mingione, “La ricerca è libera,” Roars, 2020, https://www.roars.it/online/la-ricerca-e-libera/.↩︎
- Come nota Elizabeth Anderson in Elisabeth Anderson, Private Government: How Employers Rule Our Lives (and Why We Don’t Talk about It Princeton: Princeton University Press, 2017, 39, il confine dell’azienda è la frontiera in cui il mercato libero, se lo è, finisce e comincia la pianificazione autoritaria centralizzata.↩︎
- Umberto Eco, Apocalittici e Integrati Milano: Bompiani, 1964-2011, 16, 19.↩︎
- E qui bisogna far riferimento a Fedro 274b-275c, come notava a suo tempo lo stesso Eco in Eco, 28.↩︎
- Christian Fuschetto, “Agamben e le insensatezze sulla dittatura telematica,” Scienza in Rete, 2020, https://www.scienzainrete.it/articolo/agamben-e-le-insensatezze-sulla-dittatura-telematica/cristian-fuschetto/2020-06-06.↩︎
- Determinatamente, un gruppo di giuristi (Rossana Ducato et al., “Didattica di emergenza o Emergency Remote Teaching: un’analisi empirica in tema di privacy e diritto d’autore dei termini e condizioni dei servizi online più diffusi ,” Law and Media Working Paper Series, no. 2 2020, https://www.medialaws.eu/wp-content/uploads/2020/06/Law-and-Media-WPS-2-2020.pdf) si è dato la pena di leggere e analizzare i termini d’uso delle più diffuse piattaforme teledidattiche e ne ha denunciato la scarsissima trasparenza che, a dispetto dell’articolo 39 del regolamento europeo sulla privacy, rende difficile a docenti e studenti farne valere il diritto.↩︎
- 18 Eco, Apocalittici e Integrati, corsivi aggiunti.↩︎
- Joseph Weizenbaum, Computer Power and Human Reason San Francisco: W. H. Freeman and Company, 1976, 38 ss.↩︎
- La Francia, in condizioni analoghe, ha saputo però fare scelte ben diverse: (Maria Chiara Pievatolo, “Teledidattica: proprietaria e privata o libera e pubblica?” Roars, 2020, https://www.roars.it/online/teledidattica-proprietaria-e-privata-o-libera-e-pubblica).↩︎
- “Usati” traduce “useds” come impiegato da Richard Stallman in Reasons not to be used by Facebook.↩︎
- Jaron Lanier, You Are Not a Gadget New York: A.A. Knopf, 2010, https://btfp.sp.unipi.it/it/2012/10/jaron-lanier-you-are-not-a-gadget/, ch.I.↩︎
- Laurie Clarke, Oscar Williams, and Katharine Swindells, “How Google Quietly Funds Europe’s Leading Tech Policy Institutes,” The New Statesman, July 30, 2021, https://www.newstatesman.com/business/sectors/2021/07/how-google-quietly-funds-europe-s-leading-tech-policy-institutes., traduzione mia. Anche se l’articolo non riporta pressioni dirette di università ed enti di ricerca sugli studiosi più critici, una delle sue fonti accademiche, che denuncia un pervasivo ma implicito conflitto di interessi, ha preferito restare anonima. Ed ecco un esempio italiano: “La CRUI collabora ad Ambizione Italia, il progetto avviato da Microsoft per accelerare la trasformazione digitale nel nostro Paese“ riferisce il sito della Crui all’URL https://www.crui.it/accordo-crui-microsoft.html. La stessa formulazione della notizia suggerisce che la Crui sia felice di collaborare alla trasformazione digitale italiana ponendosi al servizio di un monopolio commerciale privato statunitense.↩︎
- Meredith Whittaker, “The Steep Cost of Capture,” ACM Interactions, 2021, https://interactions.acm.org/archive/view/november-december-2021/the-steep-cost-of-capture/. Si veda anche, per la ricerca medica: Federico E. Testoni et al., “Whose Shoulders Is Health Research Standing on? Determining the Key Actors and Contents of the Prevailing Biomedical Research Agenda,” PLOS ONE 16, no. 4 2021, https://doi.org/10.1371/journal.pone.0249661.↩︎
- Crawford, Atlas of AI Power, Politics, and the Planetary Costs of Artificial Intelligence, ch. 1.↩︎
- Karen Hao, “We Read the Paper That Forced Timnit Gebru Out of Google. Here’s What It Says,” MIT Technology Review, 2020, https://www.technologyreview.com/2020/12/04/1013294/google-ai-ethics-research-paper-forced-out-timnit-gebru/.↩︎
- ”Public-minded research and knowledge creation isn’t just important for its own sake, it provides essential information for those developing robust strategies for the democratic oversight and governance of AI, and for social movements that can push back on harmful tech and those who wield it.“ (Alex Hanna, “Opinion: Timnit Gebru’s Exit From Google Exposes a Crisis in AI,” Wired, 2020, https://www.wired.com/story/timnit-gebru-exit-google-exposes-crisis-in-ai/)↩︎
- Whittaker, “The Steep Cost of Capture.”, traduzione mia.↩︎
- Già chiara in Max Weber, Wissenschaft Als Beruf München und Leipzig: Duncker & Humblot, 1919, 5, https://de.wikisource.org/wiki/Wissenschaft\_als\_Beruf.↩︎
- Lanier, You Are Not a Gadget.↩︎
- Nicola De Bellis, “Shut up and Dance: L’universo Morale Della Bibliometria Tra Principi Universali e Banalità Del Fare,” ESB Forum, February 27, 2017, http://www.riccardoridi.it/esb/fdo2016-debellis.htm.↩︎
- Vincent Larivière, Stefanie Haustein, and Philippe Mongeon, “The Oligopoly of Academic Publishers in the Digital Era,” PLOS ONE 10 2015, https://doi.org/10.1371/journal.pone.0127502. Sul condizionamento della ricerca dovuto alla valutazione bibliometrica si veda per esempio: Lucio Russo, La cultura componibile Napoli: Liguori, 2008.↩︎
- Ben Tarnoff, “From Manchester to Barcelona,” Logic Magazine 9 2019, https://logicmag.io/nature/from-manchester-to-barcelona/.↩︎
- Harnad, uno dei fondatori del movimento per l’Open Access, all’epoca non trovava preoccupante che l’archivio della conoscenza umana online fosse indirettamente – o direttamente, come nel caso di Usenet – in mano a Google (Stevan Harnad, “Back to the Oral Tradition Through Skywriting at the Speed of Thought (Ranimer la tradition orale par la ciélographie à la vélocité de l’esprit),” in Les défis de la publication sur le web: hyperlectures, cybertextes et méta-editions, 2003, 20, https://halshs.archives-ouvertes.fr/sic_00000315/), purché rimanesse accessibile a tutti.↩︎
- Tim Berners-Lee, “Long Live the Web: A Call for Continued Open Standards and Neutrality,” Scientific American, 2010, http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=long-live-the-web.↩︎
- Berners-Lee.↩︎
- Tim Berners-Lee, da inventore qual è, sta sperimentando dispositivi di ri-decentralizzazione (“Redecentralisation: A Deep Cause of Causes You Care about Deeply,” World Wide Web Foundation, 2016, https://webfoundation.org/2016/10/redecentralisation-a-deep-cause-of-causes-you-care-about-deeply).↩︎
- Platone, Fedro, 274b–275c, http://data.perseus.org/citations/urn:cts:greekLit:tlg0059.tlg012.perseus-grc1:227a.↩︎
- Leigh Star, Susan, “The Ethnography of Infrastructure,” American Behavioral Scientist 43, no. 3 1999: 377–91, https://purl.org/mcpievatolocit/star.; su questa accezione e sui suoi sviluppi si veda (Benedikt Fecher et al., “Making a Research Infrastructure: Conditions and Strategies to Transform a Service into an Infrastructure,” Science and Public Policy, no. scab026 2021, https://doi.org/10.1093/scipol/scab026).↩︎
- Damiano Verzulli, “La posta elettronica negli atenei italiani,” 2021, https://dvblog.soabit.com/la-posta-elettronica-negli-atenei-italiani. Lo studio, peraltro, non riporta se le università ancora indipendenti gestiscono la posta con software libero o proprietario, come per esempio Microsoft Exchange, fortemente integrato con l’ambiente Office e ben noto all’FBI ( Sean Hollister, “The FBI is remotely hacking hundreds of computers to protect them from Hafnium,” The Verge, 2021, https://www.theverge.com/2021/4/13/22382821/fbi-doj-hafnium-remote-access-removal-hack).↩︎
- Per questo l’obiezione secondo la quale che le università italiane hanno usato e usano anche Moodle, che è software libero, risulta evasiva: una cosa è adottare un programma specifico per la teledidattica, un’altra è impiegare uno strumento teledidattico che appartiene a un ecosistema proprietario complessivo e soggetto a legislazione extraeuropea il quale non solo cattura capillarmente dati personali di ogni tipo, ma amplifica ed estende una tendenza che può già presentarsi perfino in un uso acritico di Moodle: “When teachers think of such platforms as tools, rather than digital spaces, they tend to lose sight of important questions about the kinds of educational environments they want to provide and the kinds of interactions they want to create among students. Platform-based instruction cedes significant control over what happens in classrooms to the whims of platform developers. What values, biases, and assumptions are at work in the design of this platform? And how do these align with or diverge from my own goals for teaching and learning?” (Antero Garcia and T. Philip Nichols, “Digital Platforms Aren’t Mere Tools -They’re Complex Environments,” Phi Delta Kappa 102, no. 6 2021: 14–19, https://doi.org/10.1177/0031721721998148). ↩︎
- O si sono lasciati estendere, per la mancanza di un’adeguata politica anti-trust: si veda (Tim Wu, The Curse of Bigness. Antitrust in the New Gilded Age New York: Columbia Global Reports, 2018).↩︎
- Roberto Caso, “Università delle piattaforme: la DAD, il business dei dati personali e la fine dell’autonomia,” Agenda Digitale, 2021, https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/universita-delle-piattaforme-la-dad-il-business-dei-dati-personali-e-la-fine-dellautonomia/.↩︎
- Le immagini sono di Jeroen Bosman e Bianca Kramer, Workflows, https://101innovations.wordpress.com/workflows/ .↩︎
- Alejandro Posada and George Chen, “Inequality in Knowledge Production: The Integration of Academic Infrastructure by Big Publishers,” in ELPUB 2018, ed. Leslie Chan and Pierre Mounier, 2018, https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01816707. e Maria Chiara Pievatolo, “I custodi del sapere,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2021, https://btfp.sp.unipi.it/it/2021/05/i-custodi-del-sapere/.↩︎
- SPARC, Landscape Analysis The Changing Academic Publishing Industry Implications for Academic Institutions, 2019, https://sparcopen.org/our-work/landscape-analysis/.: il testo riferisce un’indagine commissionata da SPARC all’analista finanziario Claudio Aspesi. Si veda inoltre (Björn Brembs, “Algorithmic Employment Decisions in Academia?” 2021, http://bjoern.brembs.net/2021/09/algorithmic-employment-decisions-in-academia/), e la stessa auto-presentazione dell’oligopolista editoriale più potente, Elsevier, come “data science company” che aiuta i suoi clienti a prendere “evidence-led decisions“: https://www.elsevier.com/about/this-is-elsevier. (Renke Siems, “Das Lesen Der Anderen: Die Auswirkungen von User Tracking Auf Bibliotheken,” O-Bib. Das Offene Bibliotheksjournal 9, no. 1 2022: 1–25, https://doi.org/10.5282/o-bib/5797). ↩︎
- Marialuisa Stazio, “Partire dai numeri e (ri)cominciare a contare. Dal divario Nord-Sud sulle iscrizioni alle scelte sulla DAD,” Roars, 2021, https://purl.org/mcpievatolocit/stazio. Fa anche eccezione (Stefano Zoja, “La scuola italiana al mercato dei dati. Così il controllo sulla didattica rafforza lo strapotere delle multinazionali,” Altreconomia, no. 246 2022: 10–16). La minorità tecnologica delle classi dirigenti italiane è tale che solo la guerra russo-ucraina le ha indotte a rendersi conto che l’adozione dell’antivirus Kaspersky per la pubblica amministrazione è quanto meno incauta (Luigi Garofalo, “Kaspersky, istruttoria Garante Privacy: “Russia accede ai dati di italiani?”,” Key4biz, March 2022, https://www.key4biz.it/caso-kaspersky-istruttoria-del-garante-privacy-il-cremlino-accede-ai-dati-dei-clienti-italiani/396524) .↩︎
- Caso, “Università delle piattaforme: la DAD, il business dei dati personali e la fine dell’autonomia.”. Fanno eccezione il progetto UNIRE (https://www.binarioetico.it/digital_transformation/2021/03/24/unire/) e il disegno di legge A.S. 2142 (http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/testi/53821_testi.htm?fbclid=IwAR04VrLKNL5rlI9_DILBUvBb6wXLSga69FEf7x5JTKQvT7LzaOwBrrnkAWg), anche se non basta una legge a risolvere una questione infrastrutturale.↩︎
- “C-311/18 – Facebook Ireland and Schrems,” 2020, https://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=en\&num=C-311/18.: la legislazione statunitense, a cui sono sottoposte Microsoft e Google, autorizzando e imponendo una sorveglianza estesa da parte della NSA, non garantisce una protezione paragonabile a quello europea (David Crocker Andrew and Ruiz, “How Congress’s Extension of Section 702 May Expand the NSA’s Warrantless Surveillance Authority,” Electronic Frontier Foundation, 2018, https://www.eff.org/deeplinks/2018/02/how-congresss-extension-section-702-may-expand-nsas-warrantless-surveillance) ↩︎
- Caso, “Università delle piattaforme: la DAD, il business dei dati personali e la fine dell’autonomia.”.↩︎
- “When Facebook Goes down: What’s an Inconvenience to Some Is Devastating to Others,” World Wide Web Foundation, 2021, https://webfoundation.org/2021/11/when-facebook-goes-down-whats-an-inconvenience-to-some-is-devastating-to-others/.↩︎
- Paolo Vecchi, “Guasto a Google, così i dati personali di tutti sono gestiti negli Usa,” Agenda Digitale, 2020, https://purl.org/mcpievatolocit/vecchi.: ”La cosa interessante di questo specifico guasto dell’infrastruttura Google è che ha confermato a coloro che pensavano di utilizzare dei servizi dedicati agli utenti europei, che le credenziali di tutti gli utilizzatori dei loro servizi sono gestite da un’unica piattaforma di autenticazione situata negli Stati Uniti. E questo – come si è visto per i servizi colpiti dal down – riguarda anche le scuole.“↩︎
- Nell’ultimo ventennio del secolo scorso la diffusione del personal computer liberò la capacità computazionale, prima concentrata in macchine voluminose, costose e amministrate da un’élite tecnica, distribuendola perifericamente. Il cloud computing, dal punto di vista di un utente comune, è un sistema di archiviazione remota per conservare ed elaborare i suoi dati altrove, su server non suoi e sotto il controllo altrui: in questo senso, rispetto al passato prossimo, è una forma di ri-centralizzazione (Edward Snowden, Permanent Record London: Macmillan, 2019, https://archive.org/details/edwardsnowdenpermanentrecordmetropolitanbooks2019, ch. 17).↩︎
- Snowden, ch. 17. Vale la pena notare che le condizioni di privacy di tali piattaforme apparivano opache anche prima della sentenza Schrems II (Ducato et al., “Didattica di emergenza o Emergency Remote Teaching: un’analisi empirica in tema di privacy e diritto d’autore dei termini e condizioni dei servizi online più diffusi ”; noyb, “Report on Privacy Policies of Video Conferencing Services,” 2020, https://purl.org/mcpievatolocit/noyb).↩︎
- “Il Politecnico digitale: al via con successo la didattica online,” Poliflash Magazine, 2020, https://poliflash.polito.it/in_ateneo/il_politecnico_digitale_al_via_con_successo_la_didattica_online.↩︎
- Arturo Di Corinto, “Videoconferenze, parte la gara di solidarietà per offrirle gratis a tutti,” La Repubblica, March 2020, https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/03/24/news/videoconferenze_parte_la_gara_di_solidarieta_per_offrirle_gratis_a_tutti-252205749.↩︎
- Alex Barchiesi et al., “Fare cloud senza rinunciare al controllo di dati e risorse: la ricetta GARR,” Agenda Digitale, 2022, https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/fare-cloud-senza-rinunciare-al-controllo-di-dati-e-risorse-la-ricetta-garr.↩︎
- Giacomo Tesio, “A scuola da Google,” Gli Asini – Rivista, 2022, https://gliasinirivista.org/a-scuola-da-google.↩︎
- Pievatolo, “Teledidattica: proprietaria e privata o libera e pubblica?”.↩︎
- Per una rassegna più articolata si veda Paolo Monella, “Education and GAFAM: From Awareness to Responsibility,” Umanistica Digitale, no. 11 2021: 27–45, https://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/13685.↩︎
- Barchiesi et al., “Fare cloud senza rinunciare al controllo di dati e risorse: la ricetta GARR.”. La natura comunitaria del GARR gli rende possibile interagire anche con singoli docenti e gruppi di ricerca: anche chi insegna in università che si sono consegnate a Microsoft o Google può usare, e usa, open.meet.garr.it, edu.meet.garr.it e blue.meet.garr.it.↩︎
- Gianfranco Viesti, La laurea negata Le politiche contro l’istruzione universitaria Roma-Bari: Laterza, 2018.↩︎
- Enrico Venuto, “DDI: un modello sovrano, aperto, scalabile e sostenibile?” in Workshop GARR 2020 3- Didattica integrata all’università e a scuola: Dall’emergenza ai nuovi modelli, 2020, https://www.eventi.garr.it/it/ws20/home/materiali-workshop-2020/presentazioni-6/494-esperienza-di-polito-e-venuto/file.↩︎
- La questione è analoga a quella posta da P. Sotiris (Panagiotis Sotiris, “Against Agamben: Is a Democratic Biopolitics Possible?” Viewpoint Magazine, 2020, https://viewpointmag.com/2020/03/20/against-agamben-democratic-biopolitics/) quando, invece di limitarsi a deplorare le pratiche ”biopolitiche“ contro la pandemia di Covid-19, si domanda se una democratizzazione della conoscenza non renderebbe immaginabili azioni collettive di salute pubblica che non si fondino su sorveglianza e coercizione.↩︎
- Fra diritto e informatica: esperienze di teledidattica a confronto, https://cisp.unipi.it/fra-diritto-e-informatica-esperienze-di-teledidattica-a-confronto/, 2021. Qui tratteremo solo del confronto fra i due informatici perché l’argomento è l’infrastruttura che incorpora il codice come legge, anche a dispetto della legge. Il codice è legge (Lawrence Lessig, Code and other laws of cyberspace Basic Books, 1999, I.1, https://lessig.org/product/code), e talvolta più che legge.↩︎
- Uno studio dell”European Data Protection Supervisor, Outcome of own-initiative investigation into EU institutions’ use of Microsoft products and services, https://edps.europa.eu/sites/edp/files/publication/20-07-02_edps_euis_microsoft_contract_investigation_en.html 2020 illustra come la Microsoft approfitta di questa complessità rendendo pressoché incomprensibili le condizioni d’uso dei suoi servizi alle istituzioni dell’Unione Europea. Così l’azienda impiega e sposta i dati dei funzionari e dei cittadini europei a sua discrezione, perché, entro un quadro contrattuale mutevole e vago: (1) può modificare unilateralmente gli accordi di licenza; (2) l’ambito dei dati protetti è limitato; (3) i fini per i quali possono essere trattati sono indeterminati.↩︎
- Gli artefatti, in generale, possono essere concepiti come strumenti di mediazione che danno forma alle relazioni fra gli esseri umani e il mondo: in questo senso è riduttivo sia trattarli come mezzo neutrale al servizio dei nostri scopi, sia come l’esito di un’indeterminata volontà di potenza ( Peter-Paul Verbeek, What Things Do: Philosophical Reflections on Technology, Agency, and Design Pennsylvania State University Press, 2005).↩︎
- Ecco un esempio: Amanda Meade, “Anger after News Corp and Google Australia set up journalism academy at university business school,” The Guardian, 2022, https://purl.org/mcpievatolocit/anger. Perché far studiare gli aspiranti giornalisti commerciali in facoltà umanistiche, col rischio di esporli a docenti indipendenti, quando un grande editore può accordarsi con Google e con un’istituzione compiacente per creare un corso di addestramento ad hoc?↩︎
- Edsger W. Dijkstra, “On a Cultural Gap (EWD 924)” E.W.Dijkstra Archive, 1986, https://www.cs.utexas.edu/users/EWD/transcriptions/EWD09xx/EWD924.html.↩︎
- Weizenbaum, Computer Power and Human Reason, 12.; (Supiot, La gouvernance par les nombres), Introduction.↩︎
- Bruno Carotti, “Intervista al Prof. Enrico Nardelli ,” IRPA, 2021, https://www.irpa.eu/intervista-al-prof-enrico-nardelli. .↩︎
- Weizenbaum, Computer Power and Human Reason, 115.: mentre l’ingegnere deve fare i conti con il mondo materiale, il programmatore è il legislatore degli universi che crea.↩︎
- Si veda l’esempio in 4↩︎
- Si rinvia all’esempio in 5.↩︎
- Si veda Pievatolo, “I custodi del sapere”.↩︎
- Wilhelm von Humboldt, “Über die innere und äussere Organisation der höheren wissenschaſtlichen Anstalten in Berlin,” in Gründungstexte, ed. Christoph Markschies Humboldt-Universität zu Berlin, Humboldt-Universität, Leitung und Verwaltung, 2010, 230, https://doi.org/10.18452/4653.; traduzione in https://btfp.sp.unipi.it/dida/humboldt/ar01s03.xhtml#scienzainfinita.↩︎
- Google, forte dei dati ottenuti nel periodo della pandemia, dichiara di offrire una tecnologia di apprendimento adattiva in grado di personalizzare il materiale didattico e di sostegno secondo le esigenze di ciascun singolo studente: (Ben Williamson, “Google Magic,” Code Acts in Education, 2022, https://purl.org/mcpievatolocit/magic). Con una retorica non nuova le tecnologie di istruzione automatica vengono presentate come se si adattassero agli studenti nella loro individualità, quando invece li normalizzano, perché impongono, sulla base di correlazioni ricavate da dati passati, contenuti predeterminati a persone che potrebbero – o avrebbero potuto – essere diverse (Blikstein Paulo and Izidoro Blikstein, “Do Educational Technologies Have Politics? A Semiotic Analysis of the Discourse of Educational Technologies and Artificial Intelligence in Education,” in Algorithmic Rights and Protections for Children, ed. Mizuko Ito et al., 2021, https://purl.org/mcpievatolocit/Blikstein2021) .↩︎
- Chris Hedges, “On Being Disappeared,” The Chris Hedges Report, 2022, https://chrishedges.substack.com/p/on-being-disappeared.↩︎
- Maria Chiara Pievatolo, “Se l’università può essere liberale,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2021, https://btfp.sp.unipi.it/it/2020/06/universita_liberale.↩︎
- Si veda (U.S. House Judiciary Subcommittee on Antitrust, Commercial, and Administrative Law, “Investigation of Competition in Digital Markets report released (and a personal story never told),” 2020, 5–6, https://judiciary.house.gov/uploadedfiles/competition_in_digital_markets.pdf), che invoca, richiamando la dottrina di Louis Brandeis, il ritorno di un’antitrust basata sulla convinzione politica che democrazia e concentrazione della ricchezza non possono coesistere.↩︎
- Paolo Prodi, Università e città nella storia europea, Il Mulino Bologna, 2013, sec. 3.; (Maria Chiara Pievatolo, “L’università e le sue crisi: una riflessione storica,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2012, https://btfp.sp.unipi.it/it/2012/08/luniversita-e-le-sue-crisi-una-riflessione-storica/).↩︎
- Nel feudalesimo terra e libertà erano consegnati al potere personale del feudatario in cambio di protezione per i servi della gleba a lui subordinati. Ora invece Microsoft e Google ricevono dati e libertà in cambio di spazi di comunicazione organizzati e recintati perché controllati di fatto, se non anche di diritto quando entra in gioco la cosiddetta proprietà intellettuale (Drahos Peter and John Braithwaite, Information Feudalism. Who Owns the Knowledge Economy? London: Earthscan Publications Ltd., 2002). (Evgeny Morozov, “Critique of Techno-Feudal Reason,” New Left Review, no. 133-134 2022: 126, https://newleftreview.org/issues/ii133/articles/evgeny-morozov-critique-of-techno-feudal-reason) nota che le piattaforme tecno-feudali sono più propriamente capitaliste, perché fanno investimenti e offrono servizi: bisogna però chiedersi se lo stare sul mercato come luogo in cui non si dipende dalla benevolenza altrui non sia diventato un privilegio da cui è esclusa la massa degli usati i quali, non pagati, esperiscono il lato feudale delle piattaforme e non invece quello capitalistico.↩︎
- E anche qui giova ricordare che il potere del monopolio non è solo di censura economica, ma anche politica e culturale: si consideri per esempio, nel metodo, (Andy Maxwell, “Sci-Hub Only Option for Academics in Russia After Major Publishers Pull Out,” Torrentfreak, 2022).↩︎
- Come ricordava Theodore M. Porter in Trust in Numbers: The Pursuit of Objectivity in Science and Public Life, Princeton U.P. Princeton, 1995, 8, http://www.andreasaltelli.eu/file/repository/Excerpts.pdf, l’uso di numeri “presta autorità a funzionari che ne hanno, in proprio, assai poca”.↩︎
- Jefferson Pooley, “Surveillance Publishing,” Elephant in the Lab, March 2022, https://doi.org/10.5281/zenodo.6384605.: la bibliometria, non casualmente, è stata d’ispirazione all’algoritmo originale di Google – con la differenza che nella pubblicazione scientifica commerciale non solo i ricercatori sono il prodotto, ma, tramite le loro istituzioni, pagano per esserlo.↩︎
- Cédric Durand and Cecilia Rikap, “Intellectual Monopoly Capitalism—Challenge of Our Times,” Social Europe, 2022, https://socialeurope.eu/intellectual-monopoly-capitalism-challenge-of-our-times.;↩︎
- Cédric Durand, Techno-féodalisme. Critique de l’économie numérique Zones, 2020, 52-66; 88-96.↩︎
- Frank Pasquale, The Black Box Society: The Secret Algorithms That Control Money and Information Harvard University Press, 2015.↩︎
- Evgeny Morozov, “Yanis Varoufakis on Crypto & the Left, and Techno-Feudalism,” The Crypto Syllabus, 2022, https://the-crypto-syllabus.com/yanis-varoufakis-on-techno-feudalism.↩︎
- Specie nella sua versione novecentesca, come ri-raccontata da Friedrich Dürrenmatt.↩︎
- Jaron Lanier, Ten Arguments for Deleting Your Social Media Accounts Right Now The Bodley Head Ltd., 2018, secs. 5,6.; (Snowden, Permanent Record, ch. 29): “Who among us can predict the future? Who would dare to? The answer to the first question is no one, really, and the answer to the second is everyone, especially every government and business on the planet. This is what that data of ours is used for. Algorithms analyze it for patterns of established behavior in order to extrapolate behaviors to come, a type of digital prophecy that’s only slightly more accurate than analog methods like palm reading. Once you go digging into the actual technical mechanisms by which predictability is calculated, you come to understand that its science is, in fact, anti-scientific, and fatally misnamed: predictability is actually manipulation. A website that tells you that because you liked this book you might also like books by James Clapper or Michael Hayden isn’t offering an educated guess as much as a mechanism of subtle coercion. “ È una forma di determinismo incantato ( (Alexander Campolo and Kate Crawford, “Enchanted Determinism: Power Without Responsibility in Artificial Intelligence,” Engaging Science, Technology, and Society 6 2020: 1–19, https://doi.org/10.17351/ests2020.277)) più potente dell’oracolo di Delfi, che era esposto all’interpretazione e alla confutazione (Apologia, 21b ss.), soprattutto se si trascura di chiedersi a quali interessi la computazione è asservita.↩︎
- Roberto Tamborini, “Adam Smith capovolto. Potere economico e benevolenza,” Menabò di etica ed economia, 2020, https://www.eticaeconomia.it/adam-smith-capovolto-potere-economico-e-benevolenza.; (Anderson, Private Government, 39); (Cory Doctorow, “How to Destroy Surveillance Capitalism,” One Zero, 2020, https://onezero.medium.com/how-to-destroy-surveillance-capitalism-8135e6744d59) si chiede se il monopolio è un effetto del capitalismo della sorveglianza , o se ne è la causa. Se ne è la causa, possiamo pensare a strumenti per affrontarlo politicamente e culturalmente, visto che il suo potere non è solo, e non è più, di mercato?↩︎
- Con conseguenze che possono essere tragiche anche fuori dai miti greci: (Mitchell Clark, “Bad software sent postal workers to jail, because no one wanted to admit it could be wrong,” The Verge, April 2021, https://www.theverge.com/2021/4/23/22399721/uk-post-office-software-bug-criminal-convictions-overturned); (Julia Angwin et al., “Machine Bias,” Pro Publica, 2016, https://www.propublica.org/article/machine-bias-risk-assessments-in-criminal-sentencing).↩︎
- Weizenbaum, Computer Power and Human Reason, 18.↩︎
- Frischmann Brett and Evan Salinger, Reengineering Humanity Cambridge University Press, 2018, I.2.1.↩︎
- William Clark, Academic Charisma and the Origins of the Research University Chicago: The University of Chicago Press, 2006, 7, 36.↩︎
- Jean-Luc De Meulemeester, “Quels modèles d’université pour quel type de motivation des acteurs ? Une vue évolutionniste,” Pyramides 21 2012: sec. I.↩︎
- Jacques Le Goff, “Pour un autre Moyen Âge: Temps, travail et culture en Occident : 18 essais” Paris: Gallimard, 1991.↩︎
- Kant, Streit. AK VII, 017 09-10.↩︎
- Che non coinvolge solo l’università: si veda per esempio (Andrea Saltelli et al., “Science, the Endless Frontier of Regulatory Capture,” Futures, 2022, https://bora.uib.no/bora-xmlui/bitstream/handle/11250/2985557/Science+the+endless+frontier+of+regulatory+capture.pdf?sequence=1).↩︎
- Karen Maex, “Protect Independent and Public Knowledge,” 2021, https://www.uva.nl/binaries/content/assets/uva/nl/over-de-uva/speech-karen-maex—dies-2021.pdf. Per una riflessione più ampia rinvio a (Pievatolo, “I custodi del sapere”).↩︎
- Ari Ezra Waldman, “How Big Tech Turns Privacy Laws into Privacy Theater,” Slate, 2021, https://slate.com/technology/2021/12/facebook-twitter-big-tech-privacy-sham.html.↩︎
- Prodi, Università e città nella storia europea, sec. IV.↩︎
- Yanis Varoufakis and Lorenzo Marsili, Il terzo spazio oltre establishment e populismo Roma-Bari: Laterza, 2017, I.3.↩︎
- Roberto Caso, “Big Pharma, capitalismo dei monopoli intellettuali e democrazia,” 2022, https://www.robertocaso.it/2022/03/04/vaccini-e-brevetti-le-misure-emergenziali-non-bastano-occorre-ripensare-il-sistema/.↩︎
- Fritz K. Ringer, The Decline of German Mandarins Cambridge Mass.: Harvard U.P., 1969, 117.↩︎
- Michael Hagner, “Open Access, Data Capitalism and Academic Publishing,” Swiss Medical Weekly 148, no. 14600 2018, https://doi.org/10.4414/smw.2018.14600.; si veda di nuovo il caso esemplare nell’appendice ’5.↩︎
- Lanier, You Are Not a Gadget.↩︎
- Roberto Caso, “Assange, la nostra democrazia e la libertà di informazione in tempi di guerra ,” 2022, https://www.robertocaso.it/2022/04/05/assange-la-nostra-democrazia-e-la-liberta-di-informazione-in-tempi-di-guerra.↩︎
- Come è avvenuto con la recente direttiva europea sul copyright: (Maria Chiara Pievatolo, “L’età del privilegio,” Il Mulino, 2019, https://www.rivistailmulino.it/a/l-et-del-privilegio); sulla natura strutturalmente politica della libertà di stampa in Kant si veda (Daniela Tafani, “Il palladio dei diritti del popolo. La libertà di stampa come contropotere in Kant e negli scritti rivoluzionari,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2021, https://commentbfp.sp.unipi.it/daniela-tafani-il-palladio-dei-diritti-del-popolo-la-liberta-di-stampa-come-contropotere-in-kant-e-negli-scritti-rivoluzionari); sul carattere fittizio ed eteronomo della discussione entro i media sociali proprietari, risultante dall’elaborazione commerciale e propagandistica dei dati personali, (Durand, Techno-féodalisme. Critique de l’économie numérique, 2.3.1).↩︎
- Cory Doctorow, “To Make Social Media Work Better, Make It Fail Better,” Electronic Frontier Foundation, 2022, https://www.eff.org/deeplinks/2022/03/make-social-media-work-better-make-it-fail-better-0.↩︎
- Weizenbaum, Computer Power and Human Reason, 276.↩︎
- Weizenbaum, 217. Il passo non menziona Kant, ma è consonante con l’imperativo categorico.↩︎
- Giacomo Tesio, I dati della discordia, 2022 .↩︎
- https://scholar.google.it/intl/it/scholar/citations.html?1#publicaccess↩︎
- Si tratta (Siva Vaidhyanathan, The Googlization of Everything : (And Why We Should Worry) Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 2011, 82 ss) , di un imperialismo non culturale ma infrastrutturale: Google si procura la forza del fatto compiuto semplicemente catturando tutti i dati che è in grado di prendersi. Secondo (Morozov, “Critique of Techno-Feudal Reason,” 111), Google fiorisce non grazie al feudalesimo bensì grazie al comunismo dell’informazione: e però qui più propriamente abbiamo beni comuni presentati in modo da esautorare la comunità e quindi esposti a precarietà e sfruttamento privato (Charlotte Hess and Elinor Ostrom, “Introduction: An Overview of the Knowledge Commons,” in Understanding Knowledge as a Commons: From Theory to Practice, ed. Charlotte Hess and Elinor Ostrom The MIT Press, 2007, 3–26) – probabilmente perché il sistema universitario e bibliotecario pubblico è incapace di “trasformare politicamente un patrimonio etico in una giustizia civile” (Luigino Bruni,“ Quando la conoscenza era un bene comune e gratuito,” Avvenire, 2021, https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/luigino-bruni-conoscenza-bene-comune-e-gratuito).↩︎
- Maria Chiara Pievatolo, “ResearchGate e Academia.edu non sono archivi ad accesso aperto,” Bollettino Telematico Di Filosofia Politica, 2018, https://btfp.sp.unipi.it/it/2016/01/researchgate-e-academia-edu-non-sono-archivi-ad-accesso-aperto.↩︎
- Lanier, You Are Not a Gadget.↩︎
- Ong, Orality and Literacy, p. 78.↩︎
- Come si osserva in Arvind Narayanan, “The Limits of the Quantitative Approach to Discrimination,” 2022, https://www.cs.princeton.edu/~arvindn/talks/baldwin-discrimination/) ”baked into the practice of quantitative methods is a worldview that sees the status quo as unproblematic“.↩︎
- Ugo Pagano, “Il capitalismo dei monopoli intellettuali,” Menabò di etica ed economia, 2021, https://www.eticaeconomia.it/il-capitalismo-dei-monopoli-intellettuali/.↩︎
- Come ricorda Rob Kitchin in The Data Revolution. Big Data, Open Data, Data Infrastructures and their Consequences, Los Angeles-London: Sage, 2014, Preface, i data dovrebbero chiamarsi più propriamente capta, perché non sono dati, bensì catturati tramite selezioni accidentali o fondate su modelli.↩︎
Comments
0 Comments on the whole Page
Login to leave a comment on the whole Page
0 Comments on block 1
Login to leave a comment on block 1
0 Comments on block 2
Login to leave a comment on block 2
0 Comments on block 3
Login to leave a comment on block 3
0 Comments on block 4
Login to leave a comment on block 4
0 Comments on block 5
Login to leave a comment on block 5
0 Comments on block 6
Login to leave a comment on block 6
0 Comments on block 7
Login to leave a comment on block 7
0 Comments on block 8
Login to leave a comment on block 8
0 Comments on block 9
Login to leave a comment on block 9
0 Comments on block 10
Login to leave a comment on block 10
0 Comments on block 11
Login to leave a comment on block 11
0 Comments on block 12
Login to leave a comment on block 12
0 Comments on block 13
Login to leave a comment on block 13
0 Comments on block 14
Login to leave a comment on block 14
0 Comments on block 15
Login to leave a comment on block 15
0 Comments on block 16
Login to leave a comment on block 16
0 Comments on block 17
Login to leave a comment on block 17
0 Comments on block 18
Login to leave a comment on block 18
0 Comments on block 19
Login to leave a comment on block 19
0 Comments on block 20
Login to leave a comment on block 20