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Recent Comments in this Document
4 Maggio 2022 at 10:08
Thanks for the comment to Professor Vibert, who is an expert in the field of unelected policymakers i.e. non-majoritarian institutions such as independent authorities.
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3 Maggio 2022 at 15:26
Trovo questa risposta molto convincente, in particolare quando sottolinea che il mutuo appoggio può operare al meglio, perfino in un ambiente anche amministrativamente appiattito sui collettivi di pensiero, se l’accesso ai risultati scientifici è totalmente aperto. Anche per questo le riviste ibride, le quali smerciano l’accesso aperto a chi può permettersi, istituzionalmente o individualmente, di pagare, non sono, rispetto all’accesso chiuso, una riduzione del danno, ma un danno tout court, perché frazionano – e frazionano secondo censo – l’agorà nella quale il parresiasta, inizialmente isolato, può trovare la sua forza.
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2 Maggio 2022 at 17:30
From Frank Vibert, associate. CARR/LSE.
‘In recent times democracies have followed a ‘ dual processing’ approach to policy making relying not only on elected assemblies and governments but increasingly on expert bodies. One important question is about the relationship between the two forms of policy making. Procedures to bring the two together range from the greater use of citizen consultations by regulators to the use of Independent Fiscal Institutions by parliaments. The author argues in favour of the greater use of the technique of direct democracy and, much more radically, in favour of setting up elected bodies of experts to co-legislate alongside traditional representative bodies. It is a well argued contribution to an important debate .
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22 Marzo 2022 at 16:56
Professor French’s comment is particularly valuable, owing to his dual experience as an academic and an elected official (former Member of the National Assembly as well as Minister of Communications in Quebec), therefore being well placed to make observations on my hypothesis of “professors on politics”, to paraphrase the title of an interesting article by Professor French himself (see in the References). His kindly expressed scepticism is welcome.
But a basic misunderstanding regarding my imagined institutional framework must be corrected: in my view, academics who stand to be elected in the National Scientific Assembly (or similar bodies at more restricted geographical levels) are NOT elected “by their peers”, but by the general electorate (universal suffrage) – as traditional party politicians would still be in the parallel legislative chambers and bodies. Otherwise, it would be a half-epistocracy: an arrangement which is actually proposed by other authors; I reject it on the grounds that it would be a betrayal of a basic democratic principle.
Furthermore, I am not so blindly optimistic to believe that elected scientists would be “immune to the many pathologies of democratic representation”; but I argue that they would have incentives and motivations which can be in good part different (aiming more at the common good) from those which guide the dynamics of party politicians. I understand that I should stress this point more in the amended/enriched version of my text, which will follow the collection of reviewers’ comments.
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21 Marzo 2022 at 19:13
Giovanni Tagliabue thinks democracy is broken and there is lots of evidence that he has a point. He also thinks that science – or rather, scientists – can fix it without discarding the legitimacy which the popular vote confers. The mechanism is to be a bicameral system, one chamber of which, if I am not mistaken, will look more or less like our current legislatures, and the other of which will be composed of scientists and academics, elected by their peers. Legislation would require reconciliation between the two chambers; if the differences turn out to be insuperable, the people would choose in a referendum.
His exposition of this idea is supported by great erudition and extensive reference to the literature. His argument will be highly controversial, as no one else has ever gone to quite as much effort to document the case as practice, nor has been quite as optimistic about the political culture and role of experts, who are portrayed as more or less immune to the many pathologies of democratic representation. His challenge to the conventional wisdom is extensive and thorough-going. Whether his vision is viable or not, the issues he raises merit our attention and concern, and he is to be congratulated for his dedication to raising them.
Richard French
University of Ottawa
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19 Gennaio 2022 at 01:44
For more on Bailly, I recommend George Armstrong Kelly, Victims, Authority, and Terror, University of North Carolina Press, 1982.
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19 Gennaio 2022 at 01:42
An excellent analysis of the history of Kant’s ideas about freedom of the press – and, more importantly, about his use of rhetoric and carefully chosen vocabulary to get his message across despite the censors. We see where he fits in a century of claims about freedom of the press, and what he adds to them.
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29 Novembre 2021 at 14:13
Ringrazio il dottor Vincenzo Aglieri per questo commento pertinente e acuto.
Mi scuso per non avere sottolineato abbastanza in questo lavoro il mio intento di postare l’accento dal pluralismo metodologico di Feyerabend, dove ogni modello è accettabile basta che funzioni (quindi una sorta di anarchia metodologica), alla descrizione di una comunità scientifica anarchica, in quanto non democratica (uno scienziato non cerca la maggioranza dei consensi con la sua teoria) e non autoritaria [1].
La visione di una comunità scientifica composta di scienziati che sono costretti a trovare, e valutare, la teoria migliore è suggestiva. Infatti, il mutuo appoggio può essere visto come solidarietà tra scienziati, ma anche come un processo molto efficace nel metodo scientifico, che permette di verificare nel modo più rapido la validità di una teoria. Ma questo si vede a posteriori: dopo le verifiche della comunità scientifica si affermerà la teoria del parresiasta. Prima e durante la sfida tra parresiasta e autorità, l’influenza del collettivo di pensiero, di cui l’autorità è parte, ostacolerà l’affermarsi della teoria più efficace. Si pensi alle fatiche di Ignaz Semmelweis durante tutta la sua vita.
[1] F. Scotognella, Scientist As Parrhesiastes, European Scientific Journal, ESJ. 17 (2021) 1–1. https://doi.org/10.19044/esj.2021.v17n25p1.
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29 Novembre 2021 at 14:11
Ringrazio la professoressa Maria Chiara Pievatolo per il prezioso commento.
Nonostante il numero di casi riportati in questo lavoro sia esiguo, tali casi evidenziano che il mutuo appoggio tra scienziati non è un residuo del passato. Shechtman scrive il suo fondamentale lavoro sui quasicristalli negli anni ottanta, mentre Baessler scrive il suo lavoro sul trasporto nei semiconduttori organici negli anni novanta. Si può aggiungere l’esempio più recente, datato 2017, della pubblicazione di Gabriele D’Avino e coautori confutante una teoria sulla ferroelettricità proposta dal premio Nobel James Fraser Stoddart [1,2].
Anche Perelman, con la sua soluzione alla congettura di Poincarè, può essere considerato un parresiasta che, al posto di cercare un consenso nel collettivo di pensiero, carica i suoi tre lavori su arXiv. Altri matematici, studiando pazientemente i suoi lavori, gli daranno ragione.
Se si facesse un’analisi sul rapporto tra lavori scientifici “parresiastici” e totale delle pubblicazioni scientifiche, si troverebbe un numero molto vicino allo zero. Nondimeno, tali esempi fanno ben sperare circa la sopravvivenza di questa modalità di comunicare la scienza.
Difatti, la proposta di Pievatolo di considerare il mutuo appoggio tra scienziati un ethos tra i tanti possibili è più che ragionevole. La stragrande maggioranza della ricerca accademica è schiacciata dai collettivi di pensiero. Ma, se da un lato, l’omogeneizzazione delle argomentazioni e il rapido susseguirsi delle mode, descritte brillantemente da Lucio Russo, sono innegabili, va tuttavia sottolineato che, nell’abbondare di modalità per esporre la propria teoria o modello (abbondanza di archivi e riviste), il parresiasta ha strumenti per essere ascoltato dalla comunità scientifica.
Tenendo conto della crisi della comunicazione scientifica giustamente menzionata da Pievatolo, che richiama quanto scritto da Shawn Cunningham e John Ziman, il mutuo appoggio al parresiasta può funzionare al meglio nella modalità di accessibilità totale ai risultati scientifici.
[1] G. D’Avino, M. Souto, M. Masino, J.K.H. Fischer, I. Ratera, X. Fontrodona, G. Giovannetti, M.J. Verstraete, A. Painelli, P. Lunkenheimer, J. Veciana, A. Girlando, Conflicting evidence for ferroelectricity, Nature. 547 (2017) E9–E10. https://doi.org/10.1038/nature22801.
[2] “‘Quei calcoli erano sbagliati’”, ricercatore italiano svela l’errore del Nobel per la Chimica Stoddart, la Repubblica. (2017). https://www.repubblica.it/scienze/2017/07/26/news/_quei_calcoli_erano_sbagliati_ricercatore_italiano_svela_l_errore_del_nobel_per_la_chimica-171690576/ (accessed November 23, 2021).
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28 Ottobre 2021 at 20:33
A margine di commenti più autorevoli che sono già stati formulati circa questo articolo, mi permetto di inserire un breve pensiero, cogliendo l’occasione per ringraziare gli editori che curano questo progetto veramente “open” e il prof. F. Scotognella per gli interessantissimi spunti di riflessione che ha offerto.
L’articolo “L’affermazione di una teoria nella comunità scientifica: lo scienziato-parresiasta, il collettivo di pensiero e il mutuo appoggio” propone al lettore la figura del parresiasta anarchico in grado di imporsi contro il potere scientifico costituito, mettendo a rischio la propria carriera nel mondo già precario della scienza, pur di propugnare una teoria/modello scientifico che secondo questi può portare a nuovi sviluppi. Come risultato del suo operato, il parresiasta fa emergere il meccanismo di “mutuo appoggio” fra scienziati, che ha come risultato un processo di auto-critica che la scienza si impone mediante i suoi collaborativi celebranti, grazie al quale si giunge a scienza nuova.
Una delle parole chiave in questo articolo è: anarchia. Sebbene la spinta alla sfida dei collettivi di pensiero che in un dato momento tengono le fila del clero scientifico sia di chiaro stampo anarchico, la chiosa sembra allontanarsi alquanto da una tale prospettiva. La scienza è uno strumento che deve permettere uno studio quanto più accurato possibile della natura; non ci sono alternative. Se il modello/teoria scientifica usato fino ad un certo momento storico non riesce a spiegare nuovi eventi naturali (la cui spiegazione si richiede ad esempio per necessità, come la cura del cancro, ma anche per influenze politiche, militari e culturali o per banale evidenza nelle osservazioni), bisogna a fortiori optare per un nuovo modello che sia in grado di farlo. Se il modello funziona, deve essere accettato – pena un continuo susseguirsi di risultati errati. Pare quindi, piuttosto che anarchia, una dittatura che la natura sordamente esercita sui teorici della scienza e sui loro modelli/teorie, e che a sua volta il parresiasta impone alla comunità scientifica, che lo voglia o meno (tutti i cigni sono bianchi, fino a quando non se ne trova uno nero).
Secondo questa conclusione mi chiedo se la figura del parresiasta, che è indiscutibilmente difficilissima da sostenere da un punto di vista professionale, personale e sociale, non percorra una strada già tracciata: se infatti la teoria che propone è in grado di gettar luce su un insieme di fenomeni più ampio o di maggior interesse rispetto al precedente, non può che uscirne vittorioso, quasi indipendentemente dal “mutuo appoggio” attivato che al più ne verifica la validità o la fallibilità. Si può quindi parlare ancora di anarchia? Gli scienziati sono mossi dalla volontà di trovare la teoria migliore o sono costretti a farlo?
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