IV – I confini del presente e la Public History
E. Salvatori, Il fegato del vescovo – IV – I confini del presente e la Public History
Il contenuto attuale del Web sulla Lunigiana, rilanciato e rimasticato dai gruppi e dai singoli sui social network, appare attualmente – nella maggior parte dei casi – una versione semplificata, banalizzata e strumentale di quanto prodotto dalla storiografia locale nella prima metà del secolo scorso. Ripropone in genere un contenuto in gran parte fuorviante, che però possiede la forza di un’interpretazione apparentemente logica e portatrice di un certo grado di “orgoglio” locale, come tale ormai penetrata nell’immaginario collettivo. In tale contesto così ben consolidatosi nel tempo quanta forza comunicativa potrà mai avere un nuovo testo specialistico o un nuovo articolo scientifico? Ed è davvero importante cercare di modificare la situazione, adoperarsi per sfatare i miti?
La questione non è banale. Le rappresentazioni mentali legate alla storia non sono un orpello di importanza trascurabile. Il modo in cui una comunità – nel caso della Lunigiana più comunità legate tra loro da tutta la serie di fattori che abbiamo fino ad ora descritto – costruisce la sua identità e cementa la sua coesione costituisce un fattore di primaria importanza nella progettazione del proprio futuro. Lo storico oggi non può ignorare quale sia la visione del passato che le comunità hanno o esprimono, non certo per impegnarsi in implausibili (oltreché inutili) crociate di demistificazione, né tantomeno per indurre altre visioni, ma per favorire la riflessione sulle radici storiche del proprio presente, su quanto le nostre scelte siano condizionate dalle rappresentazioni mentali, su come la comprensione critica del passato possa risultare uno strumento potente per intervenire oggi in maniera corretta, ponderata e consapevole sul territorio. Sto parlando ovviamente non del tradizionale storico accademico specializzato in un ambito cronologico o in un settore specifico della sua macro-epoca, ma del public historian, di chi intende operare «nelle istituzioni culturali, nei musei, negli archivi, nelle biblioteche, nei media, nell’industria culturale e del turismo, nelle scuole, nel volontariato culturale e di promozione sociale e in tutti gli ambiti nei quali la conoscenza del passato sia richiesta per lavorare con e per pubblici diversi»1. Abbracciando quanto si dichiara nel Manifesto della Public History, ossia che «la crescita di una piena e consapevole cittadinanza passa attraverso una più diffusa conoscenza del passato che consenta il superamento dei pregiudizi e delle paure che vanno moltiplicandosi nella contemporaneità», il public historian vuole offrire «occasioni e strumenti per la comprensione critica dei contesti storici e dei processi in atto, aiutando ad affrontare la loro complessità ed evitando soluzioni dettate da rancori o da presunte contrapposizioni “identitarie”»2.
Emerge da questa nuova visione del mestiere dello storico la consapevolezza di quanto sia importante progettare nuove forme di condivisione della storia col territorio. Nello specifico, per comprendere davvero la questione dei confini di una regione “storica” si deve mettere in atto forme nuove di ricerca, che prevedano il coinvolgimento diretto delle persone potenzialmente interessate, attività che consentano il reperimento e lo studio delle fonti insieme alle comunità locali, l’allestimento e la presentazione di questionari, l’interrogazione dei gruppi sulle piattaforme social, per verificare e confrontare sia la genesi delle rappresentazioni, sia le modalità di espressione e riproduzione3. La partecipazione delle comunità alla ricerca dovrebbe rendere infatti i diversi pubblici non più soltanto fruitori finali di quanto elaborato dagli studiosi, ma in un certo senso coautori di storia, perché chiamati a partecipare alle diverse fasi dello studio fino anche all’interpretazione dell’intera esperienza collettiva4.
Risponde solo in parte a queste esigenze il questionario pubblico che è stato creato e promosso nel 2022 sui confini della Lunigiana, ospitato dal Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università di Pisa, che impiega metodi della Storia pubblica digitale o Digital Public History5. Il questionario ha avuto e ha ancora l’ambizione di promuovere un ragionamento di singoli e comunità sul concetto di Lunigiana storica e reperire le informazioni riguardanti il legame col territorio direttamente da coloro che frequentano o hanno frequentato questa terra perché ci sono nati e /o vi risiedono, che vedono nella Lunigiana le loro radici identitarie o la visitano per interessi personali. In particolare, si prefigge di analizzare in che modo residenti e visitatori non occasionali percepiscano la storia di questo territorio, portandoli a riflettere sulle ragioni che hanno contribuito alla formazione dell’identità delle comunità locali in una regione dai confini politico-amministrativi inesistenti.
IV.1 Il questionario
L’indagine ha chiesto la partecipazione volontaria di persone a partire dai 13 anni di età ed è stato indirizzato a tutte le persone che potevano esprimere un’opinione in merito o perché residenti, o perché originarie, o perché visitatori assidui. La scelta del limite di età si è resa necessaria affinché le domande di tipo storico potessero essere comprese, in quanto segna il termine della scuola superiore di primo grado. Il senso di appartenenza può riguardare persone che risiedono attualmente fuori dalle province della Spezia e di Massa-Carrara o anche fuori dall’Italia e non essere strettamente in relazione all’origine familiare dei partecipanti: da qui l’apertura ai non residenti, condizione dettata per altro dall’inesistenza di uno spazio amministrativo definito.
La ricerca si è parzialmente ispirata a un celebre progetto di Public History nato nel 1989 e portato a termine nel 1995 – The presence of the Past – realizzato presso l’Arizona State University da Roy Rosenzweig e Dave Thelen. I due studiosi all’epoca contattarono i partecipanti telefonicamente tramite una nutrita équipe, ottenendo 1500 risposte6. Nel nostro caso è stato invece utilizzata l’applicazione Google Moduli entro la suite Google Drive, elaborata prima in ambito didattico, raffinata da chi scrive insieme a Monica Bacci e infine promossa e distribuita tramite diverse iniziative sulla piazza reale e virtuale. Nell’agosto 2023 il questionario è stato compilato da 567 persone.
Le domande sono state suddivise in sezioni: informazioni sui partecipanti, ove sono state create le categorie di nativi/non nativi, residenti/non residenti, amatori/visitatori alle quali sono state riservate domande mirate; il senso di appartenenza a un luogo; le origini storiche della Lunigiana; le tradizioni e la cultura locali; il futuro della Lunigiana.
In una prima stesura non avevamo previsto risposte aperte, ma lo studio dell’indagine americana ci ha fatto capire l’importanza di offrire agli intervistati spazi per esprimere i loro punti di vista al di là dei semplici dati numerici. Le domande di tipo “si/no” sono invece servite a dividere gli intervistati per categorie alle quali proporre domande più mirate; la scelta di utilizzare domande di tipo follow-up ha avuto invece lo scopo di esplorare tematiche di interesse per la ricerca e rendere comparabili i risultati raccolti. Gli intervistati hanno potuto esprimere il loro gradimento su una scala rimasta costante per tutta l’indagine: da un valore minimo di “1” a un valore massimo pari a “5”7.
Le informazioni anagrafiche riguardano solo il genere e l’età, dopo di che si chiede se il partecipante si ritenga nato in Lunigiana: la risposta affermativa porta alla scelta del comune. L’elenco dei comuni disponibili è stato volutamente allargato a tutti quelli che dovrebbero rientrare nella cosiddetta «Lunigiana storica» o che sono stati proposti dai vari studiosi come pertinenti alla Lunigiana storica: sostanzialmente quelli toccati dalla diocesi medievale del vescovo di Luni che comprendeva anche parte della Versilia, della Garfagnana e del Parmense8. La risposta negativa porta invece all’opzione della residenza, oppure a quella delle origini della famiglia e infine a quella del soggiorno abituale con richiesta di indicare le motivazioni (lavoro, presenza di amici o parenti, vacanza, predilezione per il luogo) con conseguente comune di elezione.
Seguono tre domande a risposta obbligata su cosa sia la Lunigiana (se regione storica, se esistente attualmente, se meritevole di essere creata) a cui segue la richiesta di dare un valore numerico al proprio senso di appartenenza a uno spazio dal piccolo (Comune) al grande (Mondo).
Si passa quindi a indagare l’opinione dei partecipanti sulle origini storiche della Lunigiana: la richiesta specifica molto chiaramente che non si intende in alcun modo valutare le conoscenze storiche, ma la percezione di quale sia il legame più rilevante tra la Lunigiana e alcuni fenomeni del passato, chiarendo inoltre che anche tra gli studiosi non c’è concordia sul fenomeno da prediligere. La prima scelta è sul periodo ritenuto più importante dalla preistoria alla contemporaneità; ad essa seguono una serie di domande a scala di valutazione per capire quanto il singolo fenomeno estrapolato dagli studi sia percepito importante: scontro tra Bizantini e Longobardi, formazione della diocesi di Luni, attacchi saraceno-normanni, nascita e sviluppo dei domini obertengo, vescovile e malaspiniano, percorso della Francigena, passaggio di Dante, dominio visconteo-sforzesco, lotta tra Genova e Firenze, periodo napoleonico, lotte risorgimentali, resistenza al nazifascismo, industrializzazione tra le due guerre, malattia del castagno, coltivazione del gelso, emigrazione, costruzione delle infrastrutture viarie contemporanee, boom economico degli anni Sessanta.
Nella sezione successiva si passa dalla storia alle tradizioni (Considero prettamente lunigianesi le seguenti caratteristiche) pescando nell’ampio spettro delle abitudini linguistiche alle peculiarità enogastronomiche, dal paesaggio alla mancanza di un centro urbano. Al termine sono state dedicate alcune domande al futuro, per comprendere se l’attuale divisione amministrativa dello spazio in due province e due regioni sia avvertita negativamente e, nel caso, per quali motivi.
IV.2 La promozione
Creato e testato il questionario, siamo passati stabilire le modalità di promozione. Abbiamo pensato che la maniera più appropriata per raggiungere tanti pubblici diversi nel più breve tempo possibile fosse quello di adoperare un approccio multiplo, utilizzando in prima istanza due social network, Facebook e Instagram, con profili opportunamente creati, oltre che tramite le proprie pagine personali: le richieste di amicizia a gruppi attinenti alle tematiche della ricerca hanno permesso rapidamente di raggiungere circa 20.000 utenti. Inoltre, sono state inviate e-mail a tutti i comuni potenzialmente interessati e ad alcune associazioni e musei disseminati sul territorio, nonché a tutti gli istituti scolastici comprensivi. I testi delle lettere, come i post sui social network, si differenziavano fra loro per destinatario e canale comunicativo. In tutte le occasioni è stata descritta l’iniziativa, comunicato l’indirizzo del questionario con preghiera di diffusione nelle specifiche reti ed è stata offerta, ovviamente a titolo gratuito, la possibilità di illustrare il progetto in pubblico o partecipare a iniziative culturali che l’ente intendeva programmare. L’iniziativa è stata promossa tramite sito Web anche dal Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università di Pisa e attraverso comunicati stampa sui quotidiani locali9.
La ricezione da parte degli enti sollecitati è stata ampiamente diseguale e mediamente molto debole: questo dato – pur nella sua negatività – è di per sé parlante. I comuni hanno in parte accusato ricevuta, in parte si sono detti interessati, ma poi non hanno deciso di usufruire della possibilità di inserire la presentazione del progetto nelle proprie iniziative a sfondo culturale. Le scuole sono state silenti, ma in questo caso è probabile che l’approccio comunicativo con lettera al solo responsabile dell’istituto comprensivo non avesse la forza di penetrazione necessaria per raggiungere i docenti più sensibili alla tematica. La risposta più sorprendente, tuttavia, è stata quella delle associazioni e dei musei. Le associazioni che avrebbero dovuto mostrarsi più interessate a compartecipare all’iniziativa per la storia dei loro aderenti e fondatori – spesso promotori dell’idea di costituire in Lunigiana una provincia o regione autonoma e unitaria non hanno chiesto ulteriori informazioni né promosso incontri10. Solo l’associazione Amici di Luni, nata nel 2014 e dedicata in particolare alla valorizzazione dell’area archeologica e del territorio circostante, ha organizzato una presentazione pubblica che è stata seguita da vivace dibattito. Tra i musei si è invece attivato – qui potremmo dire logicamente data la caratteristica del museo stesso, il civico etnografico “Giovanni Podenzana” della Spezia, ospitando una presentazione molto partecipata in cui il dibattito ha riguardato, in sostanza, le radici stesse dell’istituzione museale.
La promozione ha dato buoni risultati: in poco più di un giorno dal lancio dell’iniziativa sono stati compilati più di duecento questionari; alla data dell’agosto 2023 i moduli compilati – come già segnalato -sono stati 567. Dato che gli utenti virtuali raggiunti sono stati più di ventimila e che i post sui social network hanno raccolto numerosi like, la percentuale dei partecipanti effettivi crediamo sia da mettere in relazione al rilievo che le presentazioni pubbliche in presenza rivestono in questo tipo di progetti rispetto alla semplice promozione sui media digitali. Da questo punto di vista potrebbe quindi aver influito negativamente il fatto che le associazioni che avrebbero dovuto essere più interessate al tema non abbiano colto l’invito ad aderire al progetto. Anche questo, tuttavia, risulta un dato interessante, segno di una certa chiusura delle tradizionali società storiche verso un’iniziativa esterna ai loro circuiti e diversa per metodo e approccio a quanto normalmente praticato.
IV-2 Pubblicazione eanalisi dei dati
All’inizio del progetto si è pensato di nascondere la visualizzazione dei risultati per non influenzare i partecipanti, ma dopo qualche mese abbiamo deciso di pubblicare i dati in tempo reale, confortati dalla constatazione che alla semplicità di visualizzazione non corrispondeva in realtà un’analoga facilità di analisi complessiva e che quindi il condizionamento dei futuri utenti sarebbe stato minimo, a fronte invece del servizio prezioso – per chi realmente interessato – di condurre analisi autonome. Si è scelto quindi di creare un apposito sito Web, in cui i dati potessero essere visualizzati in tempo reale e in maniera interattiva, selezionando eventuali filtri di ricerca con l’elaborazione conseguente di idonei diagrammi (fig. 23)11.
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Fig. 23 Sito dedicato alla compilazione del questionario con lavisualizzazione dati in tempo reale |
Per condurre una migliore visualizzazione dei dati è stato adottato anche Notebook Jupyter12, in quanto permette, in una sola istanza, di documentare ed eseguire codici, visualizzare idati, eseguire calcoli ed esaminare i risultati corrispondenti; ciascun codice può essere ospitato in celle indipendenti permettendo di testare blocchi di codice specifici. Questa scelta ha permesso di lavorare a completamento di quanto fornito da GSuite: i grafici prodotti dall’app sono stati valutati e, quando sembrato potessero essere migliorati, sono stati rielaborati in Python con l’ausilio di due Notebook: uno esclusivamente dedicato all’analisi quantitativa e un altro più propriamente dedicato all’analisi qualitativa. Il lavoro di programmazione è stato orientato più alla produzione di grafici interattivi piuttosto che di tabelle, per facilitare il più possibile la ettura in forma disintermediata. Sono stati scelti prevalentemente diagrammi a linee (su valori contigui), a torta (per enfatizzare le differenze in proporzione), a barre e a colonne (per confronti di valori relativi) e box plot in alcuni casi per fare comparazioni di statistica descrittiva13. L’indagine statistica impone di limitare la richiesta di risposte aperte, in quanto queste forniscono dati non paragonabili e di difficile gestione: tuttavia, il questionario prevede anche un campo per la raccolta di impressioni personali e pareri, che sono stati letti e analizzati singolarmente.
Rimandando al sito per una consultazione personalizzata dei dati, commento in questa sede solo quelli che reputo più interessanti ai fini del presente studio. Dal punto di vista della partecipazione per fascia d’età, hanno aderito all’iniziativa in maggioranza gli uomini (55,6 %) e le persone di età compresa dai 25 ai 74 anni, mentre l’età che riporta il maggior numero di intervistati si colloca tra 47 e 51 anni (fig. 24). Si tratta sostanzialmente della porzione di popolazione che frequenta maggiormente i social network prescelti e ha alle iniziative di promozione in presenza. Il mancato coinvolgimento delle scuole ha fortemente limitato la partecipazione della fascia più giovane della popolazione.
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Fig. 24 Diagramma di distribuzione dei partecipanti per età (datiagosto 2023, elaborazione Monica Bacci |
Del campione, il 54,7% dichiara di essere nato in Lunigiana, il 58,7% di risiedervi stabilmente, l’80% ritiene che nella regione si trovi il luogo di origine familiare. Inserendo in un GIS i comuni selezionati da queste risposte si può già ottenere una visualizzazione interessante della percezione attuale dell’estensione della Lunigiana, che comprendele città della Spezia, Massa e Carrara, ma che è sostanzialmente concentrata lungo la Val di Magra. In particolare, la fig. 25 illustra graficamente, in un certo senso, l’auto rappresentazione della Lunigiana attuale, restituendo con dimensioni proporzionali i comuni di residenza e di nascita maggiormente attestati in rapporto al numero di abitati; la fig. 26 indica invece i comuni “lunigianesi” visti dall’esterno, riportando sovrapposte le opinioni di chi ritiene di avere “origini” lunigianesi e di coloro che vi soggiornano temporaneamente<ahref=”#fn14″ class=”footnote-ref simple-footnote” id=”fnref14″role=”doc-noteref”>14.
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Fig. 25 Comuni “lunigianesi” di nascita e di residenza (dati agosto 2023) GIS disponibile all’indirizzohttps://tinyurl.com/ConfiniLunigianaGIS* |
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Fig. 26 Comuni “lunigianesi” per origine familiare e soggiorno (dati agosto 2023) GIS disponibile all’indirizzohttps://tinyurl.com/ConfiniLunigianaGIS |
In particolare, la prima mappa appare ben descritta da una delle risposte a testo libero registrate:
Penso che attualmente la Lunigiana vera e propria vada da Pontremoli a Aulla. Fosdinovo e i comuni liguri possono essere considerati lunigianesi, ma credo si identifichino piuttosto come Val di Magra. I comuni di Versilia, Garfagnana ed Emilia-Romagna ormai sono cosa diversa dalla Lunigiana nel senso attuale, pur rientrando nella Lunigiana storica. Sicuramente i Lunigianesi, per come intesi sopra, sentono più affinità con gli abitanti della provincia di Spezia che con quelli di Massa, Carrara e Montignoso [..].
Ma anche la risposta libera che è interessante, in quanto manifesta il senso di confusione suscitato dallo stesso questionario:
In quanto massese sono stata molto confusa dall’inclusione di Massa e Versilia in un probabile confine lunigianese in quanto ho sempre percepito questo territorio come limitato alle frazioni montane (es Pontremoli, Fivizzano, Mulazzo, Fosdinovo…)15.
Le risposte della sezione “storica” del questionario hanno evidenziato la diffusa percezione della Lunigiana come regione che esiste nell’attualità ed è esistita nel lontano passato: solo il 3,2% ha negato l’esistenza della Lunigiana, il 4,2% si è dichiarato incerto, mentre solamente il 9,5% l’ha equiparata al bacino idrogeologico del fiume Magra, scegliendo in questo modo l’opzione “neutra”.
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Fig. 27 Diagramma a torta sulla storicità della Lunigiana (dati agosto 2023) |
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Fig. 28 Diagramma a torta sulla esistenza della Lunigiana (datia gosto 2023) |
La risposta predominante nell’individuazione delle origini della Lunigiana (domanda Personalmente ritengo che la Lunigiana sia nata nella seguente epoca) è la Preistoria che raccoglie il 35% delle risposte – motivata quasi certamente alla presenza nei musei locali delle statue stele, il patrimonio più antico e probabilmente noto di questa terra. Questi reperti, che ancora oggi restano particolarmente enigmatici perché spesso rinvenuti fuori contesto, sono raffigurazioni stilizzate in pietra arenaria di personaggi maschili e femminili, scolpite a partire dal IV millennio a.C. fino al VI sec. a.C. Si trovano distribuite in diverse parti d’Europa ma hanno nel bacino del Magra una particolare concentrazione, come dimostrano le collezioni conservate al museo delle statue stele di Pontremoli e al museo archeologico della Spezia: il più cospicuo patrimonio di stele preistoriche conosciuto in Italia e uno dei più importanti al mondo16. Non potendo ovviamente riconoscersi alcuna possibile continuità culturale dal 3400 a.C. a oggi, il dato rispecchia in realtà il prestigio e la notorietà che hanno queste collezioni nell’immaginario collettivo e il rilievo loro dato dagli studi, ampliato dal fascino enigmatico dei reperti.
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Fig. 29 Istogramma dei periodi storici considerati fondativi per la Lunigiana (dati agosto 2023, elaborazione Monica Bacci) |
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Fig. 30 Sala del museo della statue stele della Lunigiana a Pontremoli (fonte wikisource) |
Seguono per importanza la romanità (29,5%) e le tre macro-epoche medievali (alto, pieno e tardo medioevo), che però messe insieme superano per rilevo l’età antica (31,38%). Tutte le altre epoche -compresa l’età moderna che invece, come abbiamo visto, segnò potentemente assieme al medioevo il paesaggio umano della vallata -seguono con notevole distacco. L’alto medioevo comunque predomina tra le tre fasi medievali, anche se è da collegarsi al solo fenomeno della diocesi di Luni, mentre lo scontro tra Bizantini e Longobardi o la formazione del dominio Obertengo e – dato estremamente interessante -gli attacchi Saraceni e Normanni vengono considerati di importanza decisamente inferiore17.
Entro i fenomeni che possiamo ascrivere al pieno medioevo la signoria vescovile e quella malaspiniana si attestano più o meno sui medesimi valori, ma a riscuotere le valutazioni più alte è indubbiamente il percorso della Francigena. Il passaggio e soggiorno di Dante – pur se promosso ultimamente da numerosi convegni e iniziative, lascia invece poca traccia.
I fenomeni dell’età moderna e della contemporaneità non sono stati considerati matrici identitarie dagli utenti; emerge infatti per importanza esclusivamente il periodo della resistenza al nazifascismo, che effettivamente ha visto la Lunigiana teatro di numerosi scontri e di efferate stragi nazi-fasciste. Da questo punto di vista si deve notare che il Museo audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo (MS) – l’istituto più impegnato nel territorio per la attivazione di percorsi didattico-culturali, d’indagine e di approfondimento storico della Resistenza – è diretto da un’associazione che, riunendo i comuni delle province di Massa Carrara e La Spezia, ricava la denominazione ufficiale proprio da queste ultime e non utilizza il macro-toponimo Lunigiana18. Quando invece si va a cercare nel Web dati sulla Resistenza agganciata ai termini “Lunigiana” o “Versilia”, le due query restituiscono risultati nettamente distinti, la prima area comprendente solo la media e alta Val di Magra19.
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Fig. 31 Rilevanza dei fenomeni storici per l’identità lunigianese (dati agosto 2023, elaborazione Monica Bacci) |
Mi pare che i dati esprimano un immaginario collettivo coerente che segue, benché in modo parziale, quanto sostenuto dalla storiografia locale nella prima metà del secolo. Innanzitutto, le origini vengono collocate – come è dato comune per qualsiasi fenomeno di costruzione identitaria – in un passato molto remoto. Che sia preistoria, romanità o alto medioevo, il passato che i partecipanti al questionario percepiscono quale primo motore del loro spazio culturale presenta due caratteristiche costanti: è estremamente lontano nel tempo (quindi fondativo) e riguarda aspetti in qualche modo avvertiti come gloriosi per tutta la collettività e come tali anche enfatizzati dagli studiosi del secolo scorso. Questi sono la prestigiosa presenza delle statue stele, la florida colonia romana di Luni e l’importante diocesi medievale governata da un vescovo-conte. Ugualmente unitario e cementante il dato sulla Francigena, una strada celebre, che qui percorreva un tratto breve ma strategico e che attraversava l’intero spazio considerato. I fattori correlabili al destino di atavica frammentazione e di conseguente debolezza – lo scontro tra Bizantini e Longobardi, gli attacchi saraceno-normanni, il dominio obertengo e poi malaspiniano – non vengono invece considerati rilevanti. Il paradigma dell’emarginazione, illustrato nel paragrafo precedente, riemerge inaltre sezioni del questionario, ma non è avvertito come fattore storico identitario.
Nell’ultima sezione – pur senza alcuna velleità di condurre indagini di tipo antropologico – siamo andati a chiedere quali fossero gli oggetti, le abitudini, le realtà materiali e immateriali che si consideravano tipiche, e quindi caratterizzanti, il territorio20. In un primo momento è stato chiesto di indicare quali fossero gli elementi «costitutivi dell’identità lunigianese» dando la possibilità di selezionare al massimo cinque voci tra: i numerosi castelli, la via Francigena, il senso di unità e appartenenza dei suoi abitanti, gli eventi storici, il paesaggio, i borghi storici, la città di Luni, i costumi e le usanze, la cultura. In un secondo momento si è chiesto di indicare con una scala di valore le caratteristiche che si percepivano prettamente lunigianesi tra il dialetto, le tradizioni enogastronomiche, l’indole degli abitanti, il paesaggio, le tradizioni religiose, le rievocazioni storiche, la frammentazione politico amministrativa e la mancanza di un centro urbano preminente.
Come è evidente in nessun caso si è inteso proporre o solo ventilare nelle risposte selezionabili il concetto di identità etnica, intesa come comunità di individui che si ritengono legati tra loro geneticamente,appartenenti a una stessa comunità territoriale e accomunati da campi di interazione quali lingua, organizzazione sociale o religione.L’elencazione delle voci in un’unica schermata e la possibilità data di “misurare” l’importanza di ognuna aveva infatti lo scopo di far percepire il sentimento identitario come qualcosa di estremamente composito e in continua riformulazione21.
Per la maggioranza dei partecipanti ciò che contribuisce maggiormente all’individuazione dell’identità lunigianese sono in ordine decrescente: i borghi storici, i numerosi castelli, il paesaggio e la Via Francigena.I primi tre dati sono sostanzialmente sovrapponibili in quanto tutti elementi costitutivi del paesaggio culturale attuale e largamente prevalenti per importanza sugli “eventi storici” che hanno avuto come teatro la Lunigiana. Anzi, la posizione defilata della città di Luni tra i fattori costituivi dell’identità risulta in parziale contraddizione con il rilievo dato all’età romana come motore originario della Lunigiana.
In sostanza l’insieme dei dati assegna senza alcun dubbio al Medioevo, per quanto generico e non meglio specificato, il ruolo di incubatore e creatore della Lunigiana presente.
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Fig. 32 Elementi costitutivi dell’identità lunigianese (dati agosto 2023, elaborazione di Monica Bacci) |
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Fig. 33 Elementi costitutivi dell’identità lunigianese (dati agosto 2023, elaborazione di Monica Bacci) |
Le risposte follow-up danno come caratteristiche determinanti il paesaggio e le tradizioni enogastronomiche; seguono le tradizioni religiose, le rievocazioni storiche e l’indole degli abitanti che si attestano su valori centrali di gradimento. Anche questo dato risulta in armonia con quanto prima esposto e allo stesso modo appaiono congruenti i dati riguardanti il senso di appartenenza: in primo luogo l’amore per il paesaggio, seguono i legami con la famiglia di origine, il portato delle tradizioni e della storia e, solo all’ultimo posto, la nascita.
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Fig. 34 Ragioni del senso di appartenenza (dati agosto 2023, elaborazione di Monica Bacci) |
Il paesaggio è concepito come l’interazione tra la natura e le azioni dell’uomo che si rende visibile in un territorio e che corrisponde all’insieme delle rappresentazioni individuali e collettive che attengono al visibile e all’invisibile22. Mentre il panorama rappresenta la visione materiale di ciò che si ha intorno, nel paesaggio ci sono anche le emozioni, le conoscenze, i ricordi: è il risultato di una interpretazione di quanto ci restituiscono i sensi. Se un gruppo umano, con le sue attività, è l’artefice del territorio e se in questo suo operare manifesta la propria cultura, allora il paesaggio culturale è la traccia visibile della cultura del gruppo umano che lo ha creato; è anche la rappresentazione dello spazio esistenziale di ogni individuo in cui i luoghi, naturali e/o antropici, si rivestono di valori, di narrazioni,aprendo finestre emotive attraverso le quali gli individui e i gruppi costruiscono le loro visioni del mondo23. Michel Crang ricorre efficacemente alla metafora del palinsesto per sottolineare la capacità del paesaggio di conservare e di restituire le tracce del passato la cui lettura permette di dare significati a ciò che l’osservatore vede nel presente24.
In Lunigiana l’elemento naturalistico – monti, corsi d’acqua e copertura vegetale – non è facilmente distinguibile da quanto è stato modellato dalle attività umane finalizzate all’insediamento e all’uso delle risorse del territorio, in particolare da quelle che si sono determinate tra il pieno medioevo e tarda età moderna. In sostanza è la straordinaria densità e varietà di strutture fortificate (borghi, castelli, forti, torri) a costituire per la maggioranza dei partecipanti il tratto distintivo nel paesaggio umano della Lunigiana. Sappiamo che si tratta in realtà di architetture diverse per origine e ruolo assunto nel tempo, per struttura, consistenza e continuità d’uso: ma il palinsesto del popolamento umano determinatosi nei secoli pare oggi offrirsi allo sguardo come un quadro unitario e armonico, carico di suggestioni e memorie, composto di comunità isolate eppure in qualche misura connesse. Il paesaggio lunigianese emerge senza dubbio come un «paesaggio culturale» che esprime «a long and intimate relationship between peoples and their natural environment», nel quale la natura porta i segni dell’opera dell’uomo e ne racconta la storia, caricandosi di memorie e significati25.
Le risposte al questionario confermano quindi questo legame profondo tra le comunità e un paesaggio che abbiamo visto definirsi, nelle sue principali caratteristiche, proprio tra medioevo ed età moderna.
Certo si tratta, oggi come allora, di un senso di appartenenza che non prevale in maniera netta sugli altri che coesistono nell’individuo e nei gruppi a diversi livelli di importanza. Gli istogrammi che seguono mostrano come gli intervistati sentano un pari senso di appartenenza alla Lunigiana intera (228) e al Comune di nascita/residenza (226), e di poco inferiore per entità più ampie: Italia (287), Europa (250), Mondo (288); di poco rilevo sono invece le sub-aree di Val di Vara, Pontremolese e Val di Magra.
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Fog. 35 Senso di appartenenza e territori (dati agosto 2023,elaborazione di Monica Bacci) |
Nell’ultima sezione dell’indagine, è stato chiesto agli intervistati di dare un parere sul futuro. L’intenzione, in fase di progettazione,era quella di verificare se l’assenza di una realtà amministrativa unitaria potesse essere realmente percepita come un problema, a questo fine si è chiesto se si considerasse utile l’unità amministrativa e quali tipi di bisogni fossero percepiti più rilevanti.
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Fig. 36 Importanza dell’unità amministrativa (dati agosto 2023) |
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Fig. 37 Le azioni da intraprendere a breve termine (dati agosto 2023) |
Alla richiesta se la Lunigiana dovrebbe esistere come unità politico amministrativa solo il 65,8% degli intervistati ha risposto positivamente, con una risposta negativa del 17,8%. Sulle azioni da intraprendere a breve termine solo il 41,3 % del totale delle preferenze espresse (erano possibili 5 scelte) ha indicato importante creare, a breve, un’unità politico-amministrativa della Lunigiana. Il problema sentito più acutamente appare in realtà quello dell’abbandono degli insediamenti e del territorio come indica il 66,8% dei voti dato alle politiche di ripopolamento, a cui seguono le azioni di promozione turistica (58,4%), di miglioramento delle infrastrutture viarie (46,4%) e per le comunicazioni di rete su banda larga (43,49%). In sostanza per i partecipanti la strategia da adottare tempestivamente per risolvere o attenuare il problema dell’abbandono è chiara: garantire una migliore accessibilità del territorio fisico e dello spazio digitale. Sui possibili benefici di una futuribile unità amministrativa emerge dinuovo, al primo posto, il recupero del territorio abbandonato, lapromozione dello sviluppo economico e ancora, il potenziamento di un turismo di qualità, con la creazione di una economia dei servizi nei piccoli borghi. Si attestano su valori inferiori l’ottenimento di un maggior rilievo politico e la ripresa del senso di comunità. Sul possibile capoluogo La Spezia, Pontremoli e Sarzana ottengono i gradimenti maggiori, ma – a riprova della difficoltà di una possibile scelta – gli incerti (non so) o gli scettici (nessun luogo) si attestano su valori comunque elevati.
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Fig. 38 I benefici dell’eventuale unità amministrativa (dati agosto 2023) |
Analizzando anche le risposte a testo libero lasciate a fine indagine, quello che si percepisce tra le righe è un senso di abbandono da parte delle istituzioni unito a un sentimento di impotenza di fronte alle stesse: la fatica di far arrivare agli enti deputati le visioni della comunità. In alcuni casi è stata espressa la preoccupazione – in un certo senso suscitata dallo stesso questionario – del rischio di perdita di identità, con conseguente incitamento ai ricercatori a passare dallo studio alla vera e propria promozione del cambiamento.
Usate le risposte per fare delle proposte di collaborazione fra i vari comuni, anche se non esiste una sovrastruttura politica a livello di comunità unità si può fare molto per la viabilità, i servizi alle persone che vivono nel territorio, allo sviluppo di un turismo lento e sostenibile ecc….
IV.4 Il presente e lo storico
Il paesaggio culturale della Lunigiana, suo elemento costituivo secondo i dati questionario, emerge in questa analisi come un tessuto insediativo fatto di borghi e castelli incastonati in un ambiente naturale aspro, ove un turismo consapevole cerca i prodotti tipici di una tradizione contadina ormai quasi del tutto scomparsa (panigacci, testaroli, torta d’erbi e castagnaccio i prodotti più votati). Si tratta in realtà solo del simulacro di una rete di comunità in forte crisi demografica e di un panorama insediativo fortemente mutato. Gran parte dei territori rurali montani ha subito nell’ultimo secolo una trasformazione sociale ed economica profonda, che ha portato una notevole e per molti aspetti deleteria modifica del paesaggio, riassumibile nel termine “abbandono”. L’abbandono del territorio, dovut oall’attrazione della città e all’industrializzazione, ha allontanato le persone sia dalle attività agricole e pastorali, millenario motore economico della regione, sia dagli abitati, che ne costituivano la struttura insediativa da quasi 2000 anni26. Se la desertificazione dei paesi non ha per ora danneggiato in maniera irreparabile gli edifici, che resistono perché spesso ancora usati come seconde case, il danno alle pratiche agro-pastorali è stato più incisivo, portando all’obliterazione delle colture, alla mancata pulizia dei boschi e l’abbandono degli alpeggi con l’inevitabile inselvatichimento della copertura vegetale: fenomeni che hanno per altro portato a un dissesto idrogeologico diffuso. Dal punto di vista culturale tale processo di abbandono ha preso i contorni di un massacro: si sono persi – o si sono enormemente allentati – i legami interni alle comunità, alterate le relazioni tra gruppi, dimenticati i luoghi e i momenti d’incontro periodico e si è dissolta in gran parte la conoscenza stessa del territorio, venendo meno le attività, i riti e i legami che rendevano il territorio stesso parte integrate della cultura delle comunità27.
Non esistono studi specifici sul processo di abbandono dei comuni interni della Lunigiana – per altro non facilmente analizzabili in maniera complessiva per la mancanza di un comune quadro geografico di riferimento – ma alcune analisi su singole località fanno emergere un quadro desolante. Sergio Pinna e Massimiliano Grava calcolando per i comuni montani toscani il coefficiente (CAC) che esprime l’accentramento della popolazione in termini di densità abitativa valutata rispetto a quella generale della regione, hanno evidenziato per Casola di Lunigianatra 1861 e 2017 un coefficiente negativo tra i più marcati (-82,1, fig.39)28. Federico Laurianti ha notato come tra 1951 e 2011 il comune di Calice al Cornoviglio (media Val di Vara) abbia perso quasi metà della popolazione (-49%), che ha abbandonato in particolare le frazioni poste in quota e lontane dalla viabilità di fondovalle29. Secondo Pietro Basilio Giorgieri e Francesco Alberti la desertificazione degli insediamenti montani del secondo dopoguerra ha portato in molti casi a una «dicotomia netta fra centri di fondovalle più o meno vitali (Aulla, Pontremoli, Villafranca, con le loro espansioni e propaggini, a cui si aggiungono – e tendono a saldarsi – le nuove frazioni di alcuni comuni intermedi) e aree interne più o meno abbandonate». Una situazione che ha portato «alla perdita di valori relazionali [..] fra singolo centro storico e intorno territoriale, e il formarsi, invece, di relazioni univoche di dipendenza in direzione dell’asse vallivo principale»30. Il paesaggio in molti casi si è quindi trasformato in «paesaggio dei ruderi», caratterizzato da edifici fatiscenti o diruti su cui non si rimette più mano come invece si faceva tra XVI e XVIII secolo; mentre l’urbanizzazione selvaggia delle aree di fondovalle ha avuto effetti non meno devastanti, alterandone le relazioni con l’ambiente circostanti31.
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Fig. 39 I comuni con le più marcate variazioni percentuali – in negativo ed in positivo – dei valori dell’indice CAC fra il 1861 ed il 2017 (i nomi in corsivo indicano i comuni montani) da Pinna Grava 2019 p. 62 |
Si tratta di un fenomeno diffuso in diverse zone montane della nostra penisola e che difficilmente potrà essere invertito, per quanto si registrino localmente sporadici fenomeni di ritorno alle campagne e stia crescendo, grazie soprattutto al turismo, il numero delle aziende impegnate in attività di accoglienza diffusa e di sfruttamento “misto” del paesaggio agrario – colture specializzate, attività silvo-pastoralee sfruttamento delle foreste32. Si tratta di un ritorno al territorio che in un certo senso tende a replicare – pur con mezzi e strumenti diversi. quanto attestato dalle fonti tra medioevo ed età moderna33. Hanno cercato di favorire il recupero e la valorizzazione del territorio con conseguente spinta verso il ripopolamento dei paesi in quota diversi progetti europei, nazionali e regionali. Tra i più importanti per la zona in questione si segnalala nascita dell’Istituto Lunigianese dei Castelli (1971) poi diventato Istituto per la Valorizzazione dei Castelli (2001), il “Progetto Castelli” per il recupero di singoli manufatti con consolidamento e restauro (1982), l’adesione di Villafranca, Licciana e Bagnone al programma Villages d’Europe (iniziativa pilota finanziata dalla Commissione Europea alla fine degli anni ’90, basata sull’idea dell’albergo diffuso e del coinvolgimento di capitali privati)<ahref=”#fn34″ class=”footnote-ref simple-footnote” id=”fnref34″role=”doc-noteref”>34. Ultimo in ordine di tempo il progetto Borghi Vivi che guarda a un modello di sviluppo locale sostenibile finalizzato a rivitalizzare i borghi e i centri storici, i borghi rurali e i borghi marittimi periferici, in fase di abbandono o a rischio di abbandono, in particolare attraverso la valorizzazione del patrimonio immobiliare edilizio e fondiario, sia a fini turistici che a fini artigianali, di piccolo commercio, di servizi e residenziale. Nato da una iniziativa della Comunità Montana della Lunigiana, il progetto Borghi Vivi® Lunigiana. ha coinvolto inizialmente tre comuni, per estendersi poi a tutti i quattordici comuni rientranti nella Comunità e diventare un modello anche per altre regioni con la costruzione di una rete europea35. Purtroppo, di tutto questo apparentemente innovativo e valido progetto non ho rinvenuto relazioni finali che rendessero conto dell’impatto sul territorio con dati misurabili: tutte le informazioni reperite si fermano al 2012. L’impressione è che l’insieme delle iniziative fin qui attuate non abbia ottenuto risultati sostanziali e sostenibili e che sia mancata una visione di lungo respiro, forse anche frenata dalla mancanza di un’unica governance36.
Tornando alla domanda iniziale, in questa situazione lo storico non può limitarsi a studiare il territorio e il paesaggio culturale come prodotto di un processo complesso, né a sfatare miti o errori della storiografia più o meno recente: deve interagire direttamente con le comunità a diversi livelli per contribuire ai progetti in corso, aiutare la costruzione di altre progettualità, attuare pratiche di condivisione della ricerca storica. La comprensione della storia deve infatti divenire uno degli irrinunciabili motori per la ripresa di un ecosistema in cui gli insediamenti (i borghi e i castelli) possono ancora essere espressione di un uso del suolo consapevole, percepiti come beni comuni per comunità che trovano nella loro tutela e valorizzazione un fondamento del legame reciproco tra individui. Secondo Alberto Magnaghi la ricerca delle soluzioni all’abbandono delle aree rurali montane deve passare attraverso un patto per il ritorno al territorio e questo richiede che il patrimonio territoriale sia trattato come un «sistema vivente ad alta complessità», «prodotto storico dei processi di coevoluzione di lunga durata fra insediamento umano e ambiente, natura e cultura, e quindi, come esito della trasformazione dell’ambiente ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione»<ahref=”#fn37″ class=”footnote-ref simple-footnote” id=”fnref37″role=”doc-noteref”>37. Si tratta di una complessità che non può essere decodificata settorialmente, ma che implica un approccio interdisciplinare in cui lo storico è tenuto a lavorare assieme ad altri esperti (architetti, geografi, economisti, archeologi) in un dialogo continuo e serrato. D’altro canto, la decodifica non può risolversi in altisonanti dichiarazioni pubbliche d’intenti, né esaurirsi in pubblicazioni scientifiche specialistiche, ma deve essere attuata insieme alle comunità con pratiche di condivisione ben congeniate, da adattarsi di volta in volta ai diversi pubblici ai quali si rivolge. Questo significa per chi fa storia intraprendere cambiamenti profondi nel modo di porsi in relazione ai diversi pubblici e nel metodo stesso di lavoro, mutamenti indispensabili se si vuole intervenire proficuamente nell’ambito dell’industria e del turismo culturale<ahref=”#fn38″ class=”footnote-ref simple-footnote” id=”fnref38″role=”doc-noteref”>38.
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