III.1.3 e 1.4 – I continuatori e le saghe nordiche
E. Salvatori, Il fegato del vescovo – III.1.3 e 1.4 – I continuatori e le saghe nordiche
A partire da Dudone di San Quintino la tradizione storiografica intorno alla distruzione di Luni si allargò a macchia d’olio, coinvolgendo numerosi storici e poeti. Henri Prentout nel suo celebre studio critico afferma acutamente non solo che Dudone è stato il primo storico dei Normanni, ma anche che la sua opera è stata la fonte dalla quale tutte le altre hanno attinto1. Questo modello iniziale, rafforzato dalla intensa carica drammatica dello stratagemma di Hasting, ha rapidamente reso la vicenda della conquista di Luni parte del patrimonio letterario, storico e leggendario normanno medievale. La ritroviamo infatti con poche variazioni nella parte più antica del cartulario di Saint-Père-en-Vallée, in Guillaume de Jumièges, Robert Wace e Benoit de Sainte Maure.
Vediamo brevemente queste testimonianze. Andando in ordine cronologico incontriamo per primi il racconto del cartulario di S. Pietro di Chartres e le Gesta Normannorum ducum di Guglielmo di Jumièges.
L’abbazia benedettina di S. Pietro di Chartres (oggi Saint-Père-en-Vallée) subì due attacchi normanni nell’858 e nel 911; nella parte iniziale del cartulario più antico – il cosiddetto Cartulaire d’Aganon della seconda metà dell’XI secolo– il monaco redattore Paolo annota prima il disastroso arrivo dei Normanni a Chartres (cap. III), poi la successiva rivincita dei Franchi (cap. IV), a seguito della quale Astingus / Hasting decide di indirizzare le vele verso Luni (cap. V)2. Il racconto della distruzione della città riprende in sintesi quello di Dudone con poche variazioni di contenuto: non si dilunga sull’origine dei Normanni, detti semplicemente pagani provenienti dal mare3, sottolinea come ebbero agio di perlustrare ogni angolo della città di Luni per almeno una settimana e indugia invece a raccontare la ferocia del massacro4.
Guglielmo di Jumièges fu monaco dell’omonima abbazia normanna ne lpieno dell’XI secolo. Secondo Elisabeth Van Houts, i suoi Gesta Normannorum ducum sarebbero stati iniziati attorno al 1050: un prima stesura sarebbe terminata poco prima del 1060, ma successivamente l’autore avrebbe aggiunto la narrazione della conquista dell’Inghilterra fino a circa il 10705. Se Dudone è il primo storico dei Normanni, Guglielmo di Jumièges è stato etichettato dalla critica come suo “abbreviatore”, ma il passo dedicato alla vicenda di Luni lo conferma solo fino a un certo punto. Innanzitutto, benché contenga tutti gli elementi narrativi del De Moribus, non si tratta di mera copia: l’autore restituisce in maniera assolutamente originale gli eventi. I Normanni arrivano a Luni, così nominata per la sua bellezza, perché lì sospinti da una tempesta: i cittadini vedendo le navi rafforzano le difese e di contro gli assalitori, vedendo la città così munita, ritengono che sia Roma.
Postremo initio consilio, velivolum permeantes mare, Romam delibrant clandestina irruptione obtinere. Sed nimia exorta tempestate, ad urbem Lunis devolvuntur, vento impellente, que pro sui decore hoc vocabatur nomine. Porro cives, tanta attoniti classe, civitatis repagula portisin ducunt, propugnacula clipeis et iaculis muniunt, atque semetipsos hortantur ad resistendum. Quorum audatiam Hastingus ut comperit, ratus hanc Romam fore, omni conatu cepit attemptare quo pacto posset eam dolo invadere6.
La novità più rilevante riguarda tuttavia il fatto che è nominato un secondo personaggio oltre Hasting, Bier / Björn, noto nella tradizione norrena come Björn Fianco o Costa di Ferro, figlio di Ragnar Loðbrók. Una volta distrutta la città e resisi conto che non era Roma, gli assalitori decidono di ritornare in patria: Björn, alfiere di tutto l’eccidio e capo degli eserciti, perde gran parte delle navi mentre tenta di raggiungere le coste della sua patria ed approda in Inghilterra.
Nam Bier, tocius excidii signifer exercituumque rex, dum nativum solum repeteret, naufragium passus, vix apud Anglos portum optinuit, quampluribus de suis navibus submersis7.
Limitatamente alla vicenda di Luni, in Guglielmo di Jumièges sembrano quindi confluire entrambe le tradizioni nordiche relative alla sua conquista: quella tramandata da Dudone e quella che troviamo invece nelle saghe islandesi8.
La medesima peculiarità si incontra nel poema Draco Normannicus che Stefano di Bec compose negli ultimi anni ’60 del XII secolo9. L’autore, un monaco benedettino dell’abbazia di Bec, si mostra poco interessato alla fondazione del primo ducato normanno, alla quale dedica scarso spazio, per concentrarsi invece sugli eventi del XII secolo e sulle imprese di Enrico II e della madre Matilde, duchi di Normandia e regnanti d’Inghilterra10. Le imprese vichinghe del IX e X secolo sono quindi sinteticamente raccontate nel primo libro, dove l’episodio della distruzione di Luni nomina anche la figura di Bier /Björn, come in Guglielmo di Jumièges. La vicenda è narrata alla conclusione della vita del primo duca di Normandia Rollone, quando si illustrano le città conquistate da lui stesso e, ancor prima, da Hasting11: dopo Bruges e Périgueux in Aquitania, Hasting e Björn Costa di Ferro, figlio di Loðbrók, si dirigono alla città popolosa di Luni.
Tunc petitur Lunis, urbs populosa nimis. / Hanc Hastingus et ipse Bierus Ferrea-costa; / Lobroci soboles, obsidione premunt.
Seguono poi una cinquantina di versi sullo stratagemma di Hasting, che ricalcano in buona parte quanto già narrato da Dudone: il capo normanno assedia Luni pensando la Roma, ma teme di non riuscire a conquistarla perché troppo ben difesa. Simula quindi la malattia e ottiene il battesimo, anche se in realtà è un lupo travestito da agnello. Nella notte si arma e si stende nel feretro, contemporaneamente gli uomini coprono le armi con le vesti e lamentano ad alta voce la sua morte. Il corpo viene portato in città e il primo a essere ucciso da Hasting è lo stesso vescovo, a cui segue il console, i nobili e il clero: l’edificio religioso diventa quindi una specie di foro teatrale di una strage che si estende ai cittadini e la città viene distrutta. A questo punto Hasting però comprende di non avere conquistato Roma e, pur dolendosene, dopo avere devastato i regni della Gallia, decide di tornare in patria, dove ottiene la contea di Chartres. Björn invece continua le sue imprese in Inghilterra, dove incontra la morte dopo svariati anni.
Il poema Roman de Rou del normanno Robert Wace data, come il Draco Normannicus, agli anni ’60 e ’70 del XII secolo ed è dedicato a Enrico II, re d’Inghilterra e duca di Normandia12. Secondo la suddivisione propostad a Antony John Holden, il Roman de Rou è costituito da due parti: all’inizio della prima parte troviamo una sezione di 751 ottosillabi a rima baciata, dedicata alle imprese del capo scandinavo Hasting, che contiene anche l’episodio relativo alla città di Luni13. Questo, esteso per 292 versi, presenta alcuni elementi innovativi rispetto a quelli attestati nelle fonti fino ad ora esaminate. Innanzitutto, riporta dati geografici precisi, non troviamo in Dudone e nei suoi continuatori, come anche nelle saghe norrene. Hasting e Björn, dopo aver devastato la Francia, partono per conquistare Roma, di cui Björn sarebbe diventato il re; da Nantes vanno a circumnavigare la Spagna e, prima di arrivare nottetempo a Luni, oltrepassano Genova.
Mal fu Bïer, mal fu Hastains, / de malice fu chescun plains. / Quant France fu toute essillie, / lor flote toute appareillie, de Romme oï Hastainz parler / et Romme oï forment loer, / qu’en tout le mont a iceljor / n’avait cité de sa valor; / et Hastainz dist qu’a Romme iroit, Bïer de Romme roi ferait, / par Romme tout li mont aroit / et par Romme tout conquerrait. / A lor nes sont venus tout droit, / de sigler pensenta esploit; / de Nantes murent en Bretaingne, / toute avironnerent Espaingne, / par devant Genne trespasserent; / tant nagierent et tantsiglerent, / par nuit vindrent au port de Lune / si corn lez amena fortune14.
Luni è detta città toscana, posta vicino al mare e a Sarzana, molto gradevole, ben costruita e così nominata perché come la Luna, più nobile e bella, di qualsiasi altra nel paese o che nelle vicinanze.
Lune estait cité de Toscane, / jouste mer, pres de Sarrazane. / Porceu que bien fu herbergiee / et bien et bel edefïee, / bel atornee et bel fondee, / bele ville, bele con tree, / fu la cité Lune apelee / et alune fu comparee, / si com la lune de clarté / de resplendor et debeauté. / Les estoilles sormonte et vaint, / que lune de rienz se l’ataint, / ainsi fu plus noble et plus bele / la cité que l’en Lune apele. / Que cité qui el païs fust, / et que l’en pres d’ileuque seüst15.
A questo punto Wace inserisce un episodio nuovo, un giovane chierico che, nel corso della liturgia notturna, predice per quattro volte l’arrivo di cento navi vichinghe a Porto Venere: gli altri chierici non gli credono, ma la mattina seguente compare la nave di Björn.
A l’iglise de l’evesquié, / qui en la ville avoit haut fié, / erent matines commencies / et tant estoient esploities, / que ne sai laquele lechons / ert alez luire un des clerjons. / Enmié la lechon s’arestut, /autre chose dist qu’il ne dut. / «Ad portum», dist il, «Veneris /viennent cent nes, ce m’est avis». / Li clerc demandent: “Que dis tu? /Tu n’i as pas bien veü. / – Ad portum,» dist il, «Veneris / cent nes arrivent, ce vous dis./ – Garde(nt), » dient cil, «en l’escript!» / Et cil redit ceu qu’il a dit: / «Ad portum, » dist il, Veneris / cent nes arrivent, ce m’est vis. » / La quarte foiz dist ensement, / on ques nepout dire autrement, / ne peut faire que ne le die; / cen fu torné àprohetie, / quer au matin, quant cil leverent, / la navie Biër troverent.16
L’episodio sembra puro frutto della creatività dell’autore, che chiaramente amava giocare con i toponimi, dal classico parallelo tra Luni e la Luna, all’allitterazione tra Porto Venere e il verbo venir («Ad portum», dist il, «Veneris viennent cent nes) ripetuta per ben tre volte. Mostra infine di possedere migliori conoscenze geografiche degli altri autori normanni fino a qui citati, derivate quasi certamente dai resoconti dei pellegrini. In un passo posto a conclusione del racconto sulla distruzione di Luni, ci dice infatti che i Normanni lasciarono in città solo rovine, che ancora osservano quelli che fanno il cammino per Roma.
Toute la contree cergierent, / avoir ne robe n’i lessierent, / murset moustiers agravanterent; / les ruines encor i perrent, / cen voient bien li pelerin, qui vont a Romme le chemin.17
Caratteristiche simili al testo appena esaminato le possiede anche la Chronique des ducs de Normandie di Benoît de Sainte-Maure, detto anche Benedetto il Troviero: un poema 44.000 versi in lingua d’oïl, composta attorno al 1170 su richiesta di Enrico II, duca di Normandia e re d’Inghilterra (1133-1189). Benoît riserva molto piùs pazio all’episodio della presa di Luni – ben 663 versi – anche se il racconto non presenta le medesime indicazioni geografiche18. Hasting incita i suoi uomini alla conquista di Roma promettendo l’incoronazione di Björn; arrivano a Luni città della Lombardia, talmente bella, ricca e grande da essere presa per Roma.
Tant unt siglé et tant porz pris / qu’à Luns vindrent, ceo m’estavis, / une cité de Lumbardie; / tel n’i out faite ne bastie. De la lune del firmament, / qui si resclarzist e resplent, / esteit -ele Luns apelée, / e pur la lune Luns numée. / Mult ert riche, mult ert vaillanz / e bele e pleinteive e granz; de veir quiderent, c’est la sume, que ceofust la cité de Rome.19
Anche in Benoît il chierico predice l’arrivo dei Normanni a PortoVenere, ma solo per tre volte e la sua profezia ha lo scopo di mettere in allarme il vescovo che, dopo la conferma delle sentinelle, si affretta a guarnire le difese della città. La vista di Luni così protetta suggerisce ad Hasting l’inganno che già conosciamo.
III-1.4 Le saghe nordiche
Le più antiche fonti nordiche che tramandano l’episodio dell’attacco vichingo a Luni provengono dal contesto storico-letterario islandese. L’Islanda, i cui primi insediamenti si datano nel IX secolo ad opera di coloni scandinavi, nel XIII secolo fu teatro di sanguinose lotte intestine tra le famiglie dominanti, finché nel 1262 non fu assorbita dal regno di Norvegia. Già a partire dal XII secolo il popolo islandese trovò nelle storie, nelle leggende e nei racconti tradizionali e popolari un motivo di unità identitaria; questi trovarono espressione letteraria nelle saghe, prose narrative dallo stile letterario unico, che riprendono appunto nel loro nucleo il patrimonio storico e leggendario originatosi attorno all’XI secolo e fino ad allora tramandato oralmente20.
Esistono vari generi di saga; quelle che ci riguardano appartengono alla tipologia delle “saghe degli Islandesi” (Íslendingasögur in norreno) relative alle prime generazioni di famiglie che colonizzarono l’Islanda, e, in particolate, al genere delle fornaldarsögur – letteralmente storie dell’epoca antica. Si tratta della cosiddetta Saga di Ragnar Loðbrók e della Saga dei figli di Ragnar, risalenti, rispettivamente, alla seconda metà del XIII secolo (Ragnars saga Loðbrókar) e alla fine del XIII o inizio del XIV secolo (Ragnarssona þáttr)21.
Data la loro origine, le saghe sono normalmente una miscellanea di fonti più antiche, orali e scritte. Le saghe di Ragnar e dei suoi figli non fanno eccezione, includendo episodi e motivi estrapolati dalla Bibbia, dalle vite dei santi medievali, da miti celtici e da varie fiabe popolari22. La prima riporta una versione della presenza normanna a Luni diversa da quella narrata da Dudone e dai suoi continuatori: non vi è infatti traccia dello stratagemma del finto funerale, né di Hasting, mentre i protagonisti sono i figli del capo vichingo Ragnar Loðbrók, che un vecchio mendicante dissuade dal raggiungere Roma.
Il testo della saga di Ragnar Loðbrók ci è arrivato in due versioni, rispettivamente della metà e seconda metà del XIII secolo, che probabilmente risalgono da un originale perduto della prima metà del ‘200, tramandate due manoscritti del XV secolo. Il racconto ha per oggetto le imprese di Ragnar, della moglie Aslaug e dei loro cinque figli (Ivar Senzossa, Bjorn, Hvitserk, Rognvald e Sigurd Serpe-negli-occhi) nei primi ottant’anni del IX secolo. Come in tutte le saghe, storia e leggenda vi si fondono al punto che risulta difficile stabilire la veridicità e la storicità dei fatti narrati; la stessa figura di Ragnar, oggetto di molti studi, sembra racchiude in sé più figure semi-leggendarie23.
Questo il passaggio della Ragnars saga Loðbrókar che narra l’arrivo dei Normanni a Luni con toni profondamente diversi da tutti quelli letti finora: i guerrieri nordici, infatti, non avrebbero nemmeno varcato le mura della città, né l’avrebbero tantomeno depredata e distrutta: si sarebbero limitati a una sosta per valutare se proseguire o meno il viaggio verso Roma, venendo quindi dissuasi da un vecchio mendicante (che è una delle possibili personificazioni di Odino).
Tennero dunque la rotta finché non giunsero nella città di Luni. Avevano già devastato ogni città e castello in tutto il Meridione ed erano perciò divenuti famosi in tutto il mondo a tal punto che non c’era bambino che non ne conoscesse il nome. Pensarono dunque di non desistere dalla loro impresa prima di giungere a Roma, poiché era stato detto loro di questa città che era grande, popolosa, illustre e ricca. Tuttavia, non avevano la minima idea di quanto fosse lontana, mentre avevano una schiera numerosa al seguito ed erano a corto di vettovaglie. Indugiavano perciò a Luni per progettare la spedizione. Giunse in quei frangenti un uomo vecchio e mite. Chiesero chi fosse e l’uomo rispose di essere un mendicante che non aveva fatto altro che percorrere per tutta la vita quella terra. “Tu devi sapere molte cose che noi vorremmo conoscere.” Il vecchio rispose: “Non so bene di quale luogo volete sapere; potrebbe anche darsi che non abbia nulla da dirvi in proposito”. “Desideriamo che tu ci dica quanto dista da qui Roma”. “Questo – rispose – tenete a mente: vedete ai miei piedi un paio di scarpe di ferro. Vedete che sono vecchie; e l’altro paio, che porto sulle spalle, sono consumate. Ora, quando mi metto in cammino, annodo ai miei piedi quelle consumate, che ora porto sulle spalle. L’un paio e l’altro erano nuove quando sonop artito dal luogo di cui chiedete; e ho camminato senza fermarmi!” Come ebbe il vecchio dette queste cose, parve loro di non essere in grado d’intraprendere il viaggio che avevano progettato alla volta di Roma. Si diressero dunque altrove con i loro uomini conquistando numerose città mai espugnate prima d’allora e che ancora al giorno d’oggi ne portano i segni24.
La Saga dei figli di Ragnar (Ragnarssona þáttr) non è in realtà una vera e propria saga, in quanto fa parte dei cosiddetti þættir (þáttr al singolare), ossia “storie brevi” tipiche della letteratura medievale islandese25.Il testo è posteriore alle due versioni della Saga di Ragnar Loðbrók: fu infatti composta molto probabilmente nel tardo XIII secolo o all’inizio del XIV secolo forse da Haukr Erlendsson, lögsögumaður islandese vissuto tra il 1265 circa e il 133426. Il contenuto deriva in buona parte dalla Saga di Ragnar Loðbrók e dalla Skjöldunga saga (1180-1200) relativa alla dinastia leggendaria danese degli Skjöldungar, anch’essa andata perduta nella sua versione originale. Nel þáttr solo poche parole sono riservate alla presenza dei Vichinghi a Luni, ma diversamente da quanto narrato nella Saga di Ragnar Loðbrók, in esso si afferma esplicitamente che conquistarono la città. Ivar e ai suoi fratelli, figli di Ragnar dopo aver sconfittore Ælla di Northumbria e conquistato York, si diressero infatti verso altre terre, quali il Galles e la Francia, per poi giungere a Luni.
I figli di Loðbrók compirono scorrerie in molte terre: Inghilterra, Europa settentrionale (Valland) e Francia, fino a raggiungere l’Italia settentrionale (Lúmbardí). Si dice che il luogo più distante che raggiunsero fu quando conquistarono la città chiamata Luni. A un certo punto decisero inoltre di dirigersi verso Roma (Rómaborg) e di conquistarla. La loro spedizione divenne il più famoso racconto in lingua danese in tutte le terre del Nord 27.
Un dato da sottolineare, che emerge da entrambi i brani, è che all’epoca della loro scrittura il racconto dell’attacco normanno a Luni era evidentemente divenuto famoso nella tradizione norrena, ma si rifaceva a una tradizione diversa da quella di Dudone. La ricezione di questa versione la ritroviamo, in forma più sintetica, anche in poche altre fonti norrene, come in una saga su Olaf Tryggvason re di Norvegia e in un frammento di saga edito nel 1773 da Jacob Langebek28.
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