II.12 – Identità e percezione
E. Salvatori, Il fegato del vescovo – II.12 – Identità e percezione
Gli studi parziali e le ricerche in atto offrono quindi ben poche certezze rispetto alle numerose domande ancora aperte. La Val di Magra nell’età moderna appare come uno spazio estremamente frammentato e dinamico, in cui proliferavano le signorie rurali – in gran parte malaspiniane – parzialmente o totalmente autonome dai vicini stati regionali e in cui le comunità sfruttavano al massimo le potenzialità produttive di un territorio in larga parte montuoso. Tuttavia, non riusciamo a corroborare con dati concreti né il prelievo signorile né la condizione economica delle comunità, né l’eventuale flusso di eccedenze verso i centri urbani interni o vicini (Sarzana, Pontremoli, Lucca, Genova). Traccia ancora evidente del perdurare nel tempo del sistema signorie / comunità già attivo nel medioevo e del dinamismo dei dominati signorili sono le fortificazioni – castelli residenziali, presidi militari e borghi fortificati – che di fatto caratterizzano paesaggio lunigianese ancora oggi. Un quadro insediativo in gran parte è attestato già dalla documentazione di XI e XII secolo, ma che perdura nel corso del medioevo e si consolida nell’età moderna, quando diversi abitati mostrano tracce evidenti di ampliamento e ristrutturazione.
In un simile contesto quale poteva essere la percezione della Lunigiana da parte dei suoi contemporanei? Proviamo a rispondere guardando prima a uno studio pionieristico su Pontremoli e in seguito analizzando due testi memorialistici del Quattrocento lunigianese, l’autobiografia e la cronaca di Antonio di Faye.
Sulla questione dell’identità locale e del rapporto tra questa e altre appartenenze tra medioevo ed età moderna è infatti di particolare interesse il libro Gente di Pontremoli: identità, continuità e mutamenti in un centro della Lunigiana pubblicato da Paolo Pirillo nel 19971. Nato all’interno di un progetto di Lucia Carle mirante a indagare le radici storiche dei sistemi locali e dell’orgoglio campanilistico in Toscana, lo studio ha guardato al processo di affermazione della coscienza di appartenenza alla comunità, espressa nella definizione di uno spazio, nell’uso dei simboli tratti dalle tradizioni, nelle pratiche economiche e familiari. Nello specifico l’autore esamina il lungo conflitto tra le due parti cittadine, ribaltando la visione tradizionale da causa principe della debolezza a fattore di coesione della comunità di fronte alla dominante. In sostanza sarebbe stata proprio la lotta tra le parti, unita alla relativa solitudine e distanza dalla dominante, a favorire la percezione che Pontremoli aveva di sé in rapporto con gli altri, di un «cosciente, austero e compiaciuto isolamento». Tra le fonti esaminate, lo studioso evidenzia in particolare un passo del 1449 tratto dagli statuti di Pontremoli riguardante una sentenza del priore e dei consules calegarum et introitus di Genova sui pedaggi2. La questione dibattuta era squisitamente fiscale, intendendo regolare l’entità del pedaggio che i mercanti pontremolesi dovevano versare agli esattori delle gabelle all’ingresso ingresso nel genovesato. Nei due anni precedenti i mercanti e le merci pontremolesi erano stati infatti considerati come lombardi, perché l’abitato pontremolese era ritenuto parte della provincia di Lombardia, ma in quel momento una petizione chiedeva la collocazione in Toscana e di conseguenza un’esazione meno onerosa. I mercanti di Pontremoli sostenevano infatti che:
dicta terra Pontremuli sit in Provinciae Tusciae, et caput Lunexanae, ut etiam infantes parvuli norunt, et etiam semper habita et reputata est apud quoscunque, qui de dicta terra cognitionem habeant: mercatoresque sui in aliis civitatibus in similibus exactionibus gabellarum et bulletarum semper tractati et reputati fuerunt tamquam de provincia Tusciae et ita ad praesens ubique locorum tractantur et reputantur.
Al di là della sentenza, che stabilì effettivamente l’appartenenza della terra di Pontremoli alla Lunigiana e di conseguenza alla «provincia di Toscana»3 il testo – come chiarisce Paolo Pirillo – fa emergere da un lato il fatto che i Pontremolesi percepissero la loro identità “fin da piccoli” in relazione alla Lunigiana, ma anche che nel pieno ‘400 tale identità fosse comunque oggetto di discussione, ritenuta dato non pacifico né assodato proprio a causa delle dinamiche politico-militari di cui abbiamo già detto4. Polo Pirillo dimostra che tra le appartenenze dichiarate e i luoghi estrapolabili dagli statuti – Pontremoli, Lunigiana, Toscana, Genovesato, Lombardia e aree rivierasche, a prevalere era sempre la comunità rispetto al territorio più ampio, quest’ultimo quasi sempre citato in maniera strumentale. In estrema sintesi l’identità della Pontremoli dell’età moderna si costruì sul suo percepirsi sostanzialmente isolata, soggetta a influenze cangianti (Lombardia, Genovesato, Toscana), pur se entro un territorio lunigianese dai contorni poco definiti e contrastati.
Questo spazio lunigianese, che si caratterizza per il coesistere di tante identità di comunità e che si definisce solo quando il contesto lo richiede, lo troviamo anche nelle memorie dello speziale Giovanni Antonio di Faye, nato a Malgrate presso Villafranca Lunigiana nel 1409. Di umili origini, il di Faye venne istruito come speziale a Pontremoli e si mosse in cerca di istruzione e fortuna soprattutto in ambito toscano e lunigianese, finché non riuscì a raggiugere una certa agiatezza come speziale. Morì nel 14705. Di lui ci rimangono due opere di contenuto analogo, ma di stile diverso: un’autobiografia composta intorno al 1448 per ricordare le sue vicende e proporsi «come modello di uomo che da umili origini e da illetterato, lottando contro le avversità, diventa persona ricca e colta, grazie alla propria intraprendenza e all’aiuto divino»6, e una cronaca che iniziò a scrivere probabilmente dopo aver interrotto il progetto dell’autobiografia7. I due testi forniscono un punto di vista molto interessante per capire quale potesse essere per l’autore – uomo istruito ma non colto e di ceto sociale medio-basso – la percezione dello spazio in cui viveva.
Lo stile dei due testi – come già detto – è estremamente diverso: briosa e spontanea l’autobiografia, curata e misurata la cronaca, ricca di considerazioni personali la prima, più riservata la seconda, benché arricchita da notizie di storia politica. È evidente che l’autore, lasciando l’autobiografia per la cronaca, decise di cambiare anche la finalità e il tono dei suoi scritti. Dal punto di vista geografico, benché i luoghi menzionati nei due testi si sovrappongano in larga parte – come è ovvio – l’autobiografia presenta un numero molto minore di toponimi diversi e soprattutto non menziona mai la Lunigiana come macroregione.
Nella figura che segue è confrontata la quantità di toponimi menzionati nelle due opere, con la distinzione tra i toponimi “lunigianesi” (qui intesi come appratenti alle attuali province della Spezia e di Massa-Carrara), vicini (province confinanti) e lontani. Anche se la proporzione si mantiene, con una rilevanza evidente dei toponimi locali per entrambi i testi, si vede chiaramente come la cronaca presenti una maggiore abbondanza di dati rispetto all’autobiografia.
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| Fig. 20 Le località menzionate da di Faye nella Cronaca (blu) e nell’Autobiografia (arancio) |
Nelle immagini successive sono invece visibili i luoghi visitati dal Di Faye nel corso della sua esistenza e i luoghi maggiormente menzionati nell’autobiografia: emerge la dimensione strettamente locale delle sue relazioni, nonostante le peregrinazioni in Toscana, il pellegrinaggio a Roma e la visita a Venezia.
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| Fig. 21a Località effettivamente visitate dal De Faye | Fig. 21b Frequenza dei toponimi tra Autobiografia e Cronaca |
| GIS consultabile all’indirizzo https://tinyurl.com/ConfiniLunigianaGIS | |
Nella mappa successiva i toponimi della cronaca sono visualizzati con grandezze diverse a seconda della frequenza, con al di sotto i medesimi dati illustrati con istogramma: entrambe le immagini evidenziano da un lato la rilevanza di alcune località concentrate in un areale ridotto e la numerosità dei toponimi rari, in gran parte insistenti nel medesimo areale8.
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| Fig. 22 Istogramma coni toponimi della Cronaca di di Faye a frequenza discendente |
L’analisi ci dice che il “mondo” di Giovanni Antonio di Faye era sostanzialmente ristretto alla Val di Magra e in particolare alla porzione che va da Pontremoli ad Aulla e che aveva poche relazioni con l’area del parmense, del genovesato e della Toscana settentrionale; quella che oggi definiremmo la bassa Lunigiana – la porzione da Aulla a Massa – è presente, ma anche attestata con una frequenza marcatamente minore rispetto alla zona interna. Il paesaggio disegnato dai due testi è caratterizzato infine da tanti villaggi, piccoli e grandi, e signorie (vile e casteli), confermando il quadro di popolamento sparso già emerso dalle altre fonti, che non vede nei due centri maggiori (Pontremoli e Sarzana), né nelle fortificazioni vicine, forti poli attrattivi.
È questa la Lunigiana che ci racconta Giovanni Antonio di Faye? Il macro-toponimo compare ben poco (9 su 649 attestazioni, pari al 1,4%) e solo nella cronaca, ossia quando l’autore ha deciso di adottare un tono più istituzionale e uno stile più letterario. In un solo caso la menzione è rivelatrice di orgoglioso senso di appartenenza: quando la Lunigiana viene indicata come terra natale del pontefice «sarzanese» Nicolò V.
A’ 28 de frevaro soprascrito piaque a Dio che Lunixana avese tanto bene e tanto honore, che fo fato papa un Zarzanexe, el quale per le soe vertù in due ani fo fato da papa Eugenio soprascrito arcivesco e cardinale, e adeso é fato papa. Avea nome Tomaxo, e in del suo papado à nome Nicolao9.
Le menzioni più diffuse si trovano invece quando vengono raccontate vicende politiche, come la nomina a Capitano da parte del duca di Milano di Nicolò Piccinino, l’arrivo di Galeotto Campofregoso, la gestione fiorentina del territorio10; troviamo inoltre il macro toponimo entro le notizie di carattere sociosanitario, quale la cessione di beni distribuiti su un ampio territorio o la diffusione di epidemie e carestie11. La Lunigiana, priva di unità politico-amministrativa, risulta così implicitamente definita da ciò che è fuori: il Genovesato comprensivo della Riviera di levante e della Spezia12, la Lombardia compreso il Parmense e la Val Staffora, la Toscana, quest’ultima percepita chiaramente come esterna13. Risultano invece interne alla Lunigiana tutte le località della val di Magra comprese tra Luni-Sarzana e Pontremoli, quindi proprio gli insediamenti menzionati più di frequente nell’autobiografia e nella cronaca. È utile anche notare che Luni – origine stessa del macro toponimo – è menzionata una sola volta, Sarzana e le altre località vicine contano pochissime attestazioni e non vi è traccia alcuna di Massa o Carrara.
In sostanza la Lunigiana di Faye appare proprio quella regione di snodo tra la Lombardia, la Toscana e il Genovesato che le vicende sociali e politiche hanno reso difficile ad assoggettare all’uno o all’atro stato regionale, non per studiata strategia dei dominati locali, ma proprio in forza del loro esasperato e disordinato dinamismo. La frammentarietà e il mutamento costante rese la Lunigiana dell’età moderna una sorta di cuscino stipato di microgranuli in continuo movimento, ognuno definito più dal proprio isolamento che dall’appartenenza a un involucro comune, ma tutti mantenuti al suo interno dall’equilibrio tra spinte interne e pressioni esterne14.
Se si accetta questa lettura, il paradigma dell’emarginazione viene sostanzialmente capovolto: la stessa frammentazione perdurante nel tempo costituirebbe infatti ad un tempo caratteristica precipua e fattore identitario dell’area.
Nello stesso periodo, tuttavia, anche un'”altra” Lunigiana stava nascendo nelle carte degli umanisti. Le rovine di Luni romana – in particolare l’anfiteatro – e il suo patrimonio epigrafico cominciarono infatti proprio nel Quattrocento ad attirare l’attenzione degli eruditi e a fornire materiale per i loro studi. Il primo a notare e annotare le epigrafi romane di Luni fu Ciriaco d’ Ancona che il 20 settembre 1442 si recò ammirò i resti delle mura e dell’anfiteatro annotandone le caratteristiche15, ma coltivarono interessi analoghi anche gli umanisti sarzanesi Antonio Ivani e Ippolito Medusei in un ambiente culturale che vide comunque nascere e operare personaggi del calibro di Bartolomeo Facio, Iacopo Bracelli, Gottardo Stella e Tommaso Parentucelli (poi papa Niccolò V)16. Questa “nuova” Lunigiana, ricostruita sulla gloria dell’antica Luni e soprattutto sul mito della sua distruzione e della conseguente emarginazione, ebbe una lunga fortuna maggiore di quella – possiamo dire più autentica e popolare – di Giovanni Antonio di Faye, soprattutto per le rielaborazioni poi attuate agli inizi del Novecento. Una recente indagine ha tuttavia anche evidenziato come – in un certo senso – la lettura del di Faye sia ancora diffusa tra la popolazione che si “sente” lunigianese17.





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