II.11 – Struttura economico insediativa: spunti da ricerche in corso
E. Salvatori, Il fegato del vescovo – II.11 – Struttura economico insediativa: spunti da ricerche in corso
Non esistono ricerche che guardino all’economia delle signorie e delle comunità lunigianesi tra tardo medioevo ed età moderna, né come esempi singoli, né in forma comparata. Gran parte degli studi sui castelli e i borghi, l’espressione materiale più evidente e persistente di quei fenomeni e oggi vera ricchezza della regione dal punto di vista del patrimonio culturale, va di rado oltre la schedatura meramente descrittiva della documentazione che li riguarda, talvolta affiancata darilievi e fotografie, che tuttavia saltuariamente censiscono gli elementi architettonici datanti1. Se da un lato la diffusa presenza di castelli, piccoli centri e borghi con forte connotazioni difensive è tipica di molte aree collinari e montane dell’Appennino centro settentrionale la zona appare peculiare per densità ed eccezionale consistenza delle opere di fortificazione e di difesa documentate dalle fonti e ancora abbondantemente visibili nel territorio. Sono ormai passati quasi quarant’anni da quando, con malcelato sconcerto, Aldo Settia notava per lo spazio ristretto della Lunigiana «un dinamismo che con ritmo ora lento ora accelerato, crea e distrugge, ricrea e ridistrugge le strutture di insediamento» e che sembrerebbe «una sorta ‘rivoluzione permanente’» se non «un ‘fatto di vita organica e vegetativa’ nel quale gli interventi dell’uomo finiscono per avere un’importanza solo marginale»2. Da quella sua sostanziale ammissione di impotenza nel poter seguire, analizzare e tipizzare il brulicare continuo di fondazioni, riusi e distruzioni, sono stati fatti in questi ultimi decenni alcuni significativi passi avanti, ma la strada da percorrere per comprendere i meccanismi evolutivi degli insediamenti fortificati lunigianesi è ancora molto lunga. Nel 2000 Fabrizio Benente ha tentato di condurre un bilancio degli studi e delle ricerche condotte in Liguria sull’incastellamento e gli insediamenti fortificati medievali, che portasse gli studiosi a ragionare sul futuro delle ricerche nel settore: in quell’occasione ha rilevato come sia mancato non solo «il confronto, attuato su un piano tematico orizzontale e sincronico, tra il castrum e fenomeni storici, politici ed economici che stanno alla base della nascita del castello e dello sviluppo del territorio stesso», ma anche il dialogo tra le archeologi e studiosi delle fonti scritte pur al livello della «semplice contrapposizione dei risultati»3. Intempi recenti, ispirandosi in gran parte alle ricerche condotte negli anni ’70 e ’80 dall’ISCUM4, un gruppo di lavoro interdisciplinare che mi ha visto coinvolta, ha cercato di colmare alcune lacune studiando il paesaggio montano di Lunigiana, Garfagnana e, ultimamente, anche della val di Lima (fig. 17)5. Il lavoro, fortemente condizionato dalla disponibilità dei finanziamenti e dall’interesse delle amministrazioni locali, si è dipanato su più anni e su più località allo scopo di ricostruire le dinamiche di interazione uomo-ambiente dall’antichità ad oggi, con una particolare attenzione al periodo nodale costituito appunto dal medioevo. La metodologia applicata ha previsto l’analisi preliminare delle fonti scritte, cartografiche e toponomastiche finalizzata all’individuazione di aree da sottoporre ad ulteriore indagine, seguita dal lavoro sul campo di censimento delle emergenze archeologiche e architettoniche e di raccolta di interviste alla popolazione per l’individuazione delle strutture e la georeferenziazione dei micro-toponimi. I dati sono stati messi in relazione grazie ad una piattaforma GIS, permettendo di acquisire un quadro preliminare della storia degli insediamenti, delle architetture, dell’uso del suolo e delle risorse di un’area certamente complessa da indagare, per le caratteristiche geomorfologiche e per scarsa disponibilità di fonti scritte medievali e, in parte, anche di età moderna6.
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Fig.17 Le aree indagate tra 2011 e 2023 |
Le ricerche storico-archeologiche condotte nel Comune di Sesta Godano (2013-2023) hanno previsto ricognizioni di superficie, scavi archeologici e affondi nelle fonti d’archivio. L’intreccio tra dati storici e indagini sul campo ha dato buoni risultati. Per il castello di Godano, posto un’alta collina situata alcuni chilometri a nord-est rispetto all’attuale centro amministrativo di Sesta (SP), esegesi delle fonti e indagini archeologiche hanno concordemente individuato la seconda metà del XII secolo come epoca di fondazione ad opera di domini vassalli malaspiniani, arricchitisi probabilmente sullo sfruttamento delle foreste del monte Gottero per la cantieristica navale. Il ritardodel processo fortificatorio (una sorta di “secondo incastellamento”) si riscontra per diversi castelli dell’area e potrebbe legarsi a una messaa rendimento di aree marginali in seguito alla crescita demografica bassomedievale7. Le trasformazioni due- e trecentesche del castello, con la modellazione della rocca sommitale e la costruzione di una seconda cinta di recinzione dell’abitato, sono molto probabilmente da ascriversi ai Malaspina, che qui avevano tra il tardo XIII e il XV secolo una rete di fortificazioni a controllo delle principali direttrici di attraversamento della valle, ambite da Pontremoli e da Genova. All’interno della rocca sono state rinvenute le tracce di una zecca di falsari, che doveva operarvi con il consenso degli stessi signori tra la seconda metà del XV e gli inizi del XVI secolo. Fu forse questo uno degli elementi che portarono alla distruzione di quella parte del castello da parte del governatore di Pontremoli nel 1524, cui seguì il passaggio della comunità locale e delle altre vicine sotto il dominio della Repubblica di Genova nel 1526. Il castrum di Godano non appartiene alla prima fase dell’incastellamento medievale (IX-XI secolo) e non determinò fenomeni di accentramento del popolamento entro e intorno alle sue mura: la documentazione attesta per il XIII secolo altre fortificazioni vicine (Cornice, Groppo e Chiusola) e l’ampia conca dominata dal castello risulta caratterizzata fin dall’età di mezzo da numerosi piccoli abitati che tra tardo medioevo ed età moderna risultano aver voce nel “consiglio” del comune di Godano del XVI secolo: Bergassana, Chiusola, Santa Maria (presso Zignago), Scogna, Sesta e Pignona. Fonti scritte confortate dalle ricognizioni sul campo disegnano un quadro insediativo composto di piccoli nuclei sparsi, dalla gerarchia interna poco rilevante, formatosi e stabilizzatosi nel corso del Medioevo -nonostante le tre fortificazioni attive nel piccolo areale – e rafforzatosi nel corso dell’età moderna. Il materiale ceramico da mensa databile tra la fine XIII/XIV e il XV secolo è in gran maggioranza di produzione toscana (Pisa e Lucca), nonostante la relativa vicinanza dell’insediamento al capoluogo ligure, mentre la ceramica da cucina è di produzione locale. I residui della zecca clandestina di età moderna coprono invece (e comprensibilmente) un orizzonte più ampio (Liguria, basso Piemonte, Emilia e Toscana) sebbene anche in questo caso la presenza di materiale “toscano” – falsi quattrini di Siena – sia rilevante8. Il censimento degli elementi architettonici datanti per i diversi insediamenti ha messo in luce un’evidente crescita a livello economico e demografico di queste aree marginali nella piena età moderna, che quindi non sembrano particolarmente affette dalla crisi trecentesca (fig. 18). Tra XVII e XVIII secolo si attesta un grande fermento costruttivo nell’edilizia privata ed ecclesiastica e un incremento delle attività produttive a energia idraulica, con un sistematico sfruttamento delle risorse boschive: gli abitati si ampliano e si caratterizzano per la costruzione di passaggi voltati realizzati in appoggio agli edifici abitativi per permettere di svolgere all’esterno le attività domestichee lavorative. Relativamente all’edilizia religiosa si osserva un forte incremento del numero degli oratori (25 tra XVI e XVIII secolo), da connettere in parte al rinvigorimento del fenomeno delle confraternite (Disciplinati), ma anche alla evidente maggiore disponibilità economica di alcuni residenti che vi hanno investito le proprie risorse. A livello ceramico è ancora importato vasellame toscano (Montelupo Fiorentino), talvolta affiancato da produzioni savonesi e albisolesi, mentre dalla fine del XVIII sono sostituite unicamente da prodotti liguri. Dall’età contemporanea si osserva un maggiore sfruttamento dell’area di fondovalle, con l’assunzione di importanza da parte dell’abitato di Sesta, a valle dell’antica pieve di Roggiano9.
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Fig. 18 Elementi architettonici e Unità topografichecategorizzate per macro epoca a Cornice (a sinistra) e a Rio (a destra), da Chiti 2017-2018 |
Nella Bassa Val di Magra sono stati condotti scavi archeologici nel castello della Brina e ricognizioni di superficie nei territori comunali di S. Stefano Magra, Sarzana ed Aulla. Per quanto riguarda la Brina l’unione tra i dati di scavo e l’esegesi delle fonti scritte ha consentito di mettere ben in luce la parabola dell’insediamento, sorto tra IX-X secolo su un’altura prima frequentata dai Liguri ma non più abitata in età romana. In età tardo-carolingia vi sorse villaggio di capanne che tra la fine del X e la metà del secolo seguente si trasformò in un castello in pietra, quasi certamente ad opera dei signori da Burcione, che possedevano un altro castello ubicato su un rilievo vicino ad Aulla10. Se la nascita del castrum della Brina sembra da far rientrare nel tipico e ben studiato fenomeno dell’incastellamento di origine signorile, operato da famiglia vassalla del ceppo obertengo, le successive fasi lo vedono passare a un consorzio di signori e infine diventare un presidio militare del vescovo di Luni, pure se contestato e contrastato dai Malaspina, sino alla distruzione della parte signorile entro il primo quarto del Trecento. La porzione ancora integra del castello fu quindi utilizzata come punto di avvistamento dei Malaspina nel tardo XIV secolo e poi come dogana di Sarzana nel Quattrocento. L’insediamento, già scarsamente abitato alla fine del Duecento, non sopravvisse probabilmente alla perdita di ruolo militare in uno spazio già fortemente marcato dagli insediamenti fortificati di Ponzano superiore (Comune di S. Stefano Magra), Falcinello (Comune di Sarzana) in altura, Sarzana a valle, e venne abbandonato nel corso dell’età moderna11. Come già notato per il castello di Godano, anche alla Brina il materiale ceramico rinvenuto risulta di prevalente produzione toscana (maiolica arcaica) o locale12. Anche in questo caso gli scavi sono stati affiancati da ricognizioni di superficie delle superfici visibili con lettura e schedatura degli alzati negli abitati di Olivola, Bibola, Santo Stefano Magra, Ponzano e Falcinello: pur notandosi anche in questi insediamenti fenomeni di ampliamento e ricostruzione di piena età moderna, gli elementi architettonici datanti non sono stati ancora debitamente analizzati e georeferenziati al fine di produrre una caratterizzazione della storia e dell’archeologia dei siti tra basso-medioevo ed età moderna simile a quella ottenuta per la Val diVara.
Ricerche metodologicamente analoghe condotte in Val di Lima, ancora in corso e dai risultati a oggi inediti, hanno riguardato gli scavi nel castello di Lucchio e una serie di ricognizioni di superficie con annessa schedatura delle fonti scritte edite e inedite per il comprensorio del Comune di Bagni di Lucca. Pur se condotte su un paesaggio montano e collinare adiacente e comparabile a quello della Val di Vara e della bassa Lunigiana, queste ultime indagini hanno evidenziato dinamiche insediative e fortificatorie diverse, in parte già note agli studiosi. In sintesi, nello spazio montano lucchese tardomedievale si nota una minore vitalità delle fortificazioni, che nel Trecento rispondono sostanzialmente alle esigenze difensive della dominante e che decadono col mutare degli equilibri geopolitici 13. La situazione trova la sua ragione nella scarsa presenza di signorie totalmente o parzialmente autonome a differenza di quanto invece si registra in Lunigiana: quelle esistenti appaiono infatti marginali e di pertinenza solo ecclesiastica14. Il differente peso del fenomeno signorile nella montagna lucchese rispetto a quanto si rileva nel bacino del Magra è comunque stato sottolineato dagli studiosi anche per il periodo anteriore, dato che i castelli sono in genere attestati tardivamente (XII-XIII secolo) e che i signori locali, maggiormente legati alla città, non sembrano riuscire a creare forti circoscrizioni territoriali15. Relativamente alle forme insediative si nota inoltre come in val di Lima «i castelli tendono a insistere nell’areale dei villaggi, andando ad occupare la sommità meglio difendibile e portano ad un cambiamento nel sistema di insediamento soltanto parziale», in alcuni casi i castelli accentrano sulle alture parte della popolazione del villaggio creando così due poli di popolamento, uno sommitale ed uno di versante, fenomeno che si riscontra raramente sui versanti della Val di Magra16. Anche per questa zona la prima età moderna vede una buona capacità di resilienza alla crisi demografica del XIV-XV secolo, con un progressivo rinnovamento architettonico degli abitati XVI e XVII secolo, che tuttora li caratterizza ampiamente17.
Si tratta di studi ancora parziali, che necessiterebbero di altre verifiche per consentire generalizzazioni meglio sorrette e fondate, da attuarsi con censimenti mirati e soprattutto tramite scavi estensivi, non solo di spazi fortificati, ma anche di altre tipologie di strutture quali, ad esempio, aree cimiteriali e oratori di età moderna. Sono tuttavia anche ricerche che hanno, a mio avviso, alcuni pregi di non poco rilievo, primo fra tutti quello di applicare nel concreto quell’integrazione fra storia e archeologia tanto auspicata quanto difficilmente messa in atto, perché richiede l’allestimento di squadre interdisciplinari e continui confronti tra i ricercatori delle diverse discipline lungo un’ampia diacronia18. In seconda istanza, pur nella loro episodicità e distanza spazio-temporale, si tratta di approfondimenti che consentono di enucleare e di meglio definire le domande utili a indirizzare future ricerche. Limitatamente a quanto di interesse per il tema qui trattato, ossia la definizione di spazi e aree formatisi non soltanto in seguito alle convulse dinamiche politiche, militari e familiari, ma generatesi e strutturatesi anche dal contesto socioeconomico in relazione con l’ambiente, bisognerebbe valutare come meglio disegnare le diverse aree in funzione di:
- primo e secondo incastellamento;
- distruzione, abbandono o ristrutturazione delle fortificazioni in relazione al prevalere di forme di dominio signorile o al controllo dei confini da parte della dominante;
- interventi di ampliamento, ricostruzione e ristrutturazione degli abitati;
- investimenti impiegati per la costruzione di nuovi edifici religiosi e per il restauro delle chiese esistenti;
- effettivo raggio di distribuzione della ceramica toscana anche in luoghi dove posizione e dinamiche politiche presupporrebbero un circuito di scambi maggiormente legato ad altri centri di produzione.
Al fine di predisporre interventi mirati a rispondere a tali quesiti e a indirizzare ulteriori indagini archeologiche sarebbe utile predisporre un database georeferenziato delle fortificazioni di queste aree montane che tragga dalla documentazione e, ove possibile, dagli elementi architettonici e dai dati di scavo i seguenti elementi: fondazione, prima attestazione, ristrutturazione, cambio d’uso, cambio di proprietà, distruzione, distretto civile, distretto ecclesiastico, qualità del popolamento circostante. Sono dati che devono provenire in larga parte da fonti storiche, documentali e cartografiche, tra lorop rofondamente eterogenee per natura e contenuto e che quindi pongono problematiche di non poco conto per creazione di un modello dati utile e scientificamente valido di Historical GIS (HGIS). Non è qui il caso di illustrare in dettaglio le grandi potenzialità di questa metodologia che negli ultimi anni ha perso enorme e crescente spazio nelle ricerche prima archeologiche e poi storiche19. Quello che interessa evidenziare è che un valido HGIS sulle fortificazioni lunigianesi tra medioevo ed età moderna non dovrebbe banalmente produrre una mappa che illustri tesi già elaborate, ma «a geographical database that is able to provide “new” answers»20, ossia uno strumento che consenta tramite ricerche mirate (query) il confronto tra le diverse categorie prima espresse, anche in relazione ad altri elementi quali orografia, idrografia, viabilità, copertura arborea e quota. Traendo i dati da un patrimonio documentario complesso e distribuito su un’ampia diacronia, le problematicità nella creazione di un adeguato modello dati sono rilevanti e riguardano da un lato l’enucleazione di un vocabolario controllato per i diversi campi e dall’altro la gestione di due elementi fondamentali, lo spazio e il tempo. Le ricerche archeologiche spesso forniscono dati spaziali definiti a fronte di indicazioni cronologiche ampie o incerte, viceversa i documenti scritti spesso ci restituiscono indicazioni estremamente precise a livello temporale, indicando anche giorno, mese e anno della attestazione, ma sono estremamente vaghe e generiche a livello topografico21. A questo fine da alcuni anni all’interno delle attività del Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università di Pisa si sta tentando la costruzione di un modello dati e un prototipo di web app che consenta, appunto, l’inserimento di dati storico geografici da fonti diverse, prendendo come zona campione proprio l’areale lunigianese22.
In maniera parallela e integrata allo studio delle forme di popolamento sarebbe ovviamente necessario uno sguardo approfondito all’economia sia a livello di signoria sia guardando alla comunità rurale, al fine di comprendere aspetti cruciali sui redditi di signoria, i rapporti tra i signori e le comunità, la composizione demografica e sociale di queste ultime, l’impatto nella vita delle comunità dei cambi appartenenza politica e delle imprese militari, l’uso del suolo, le circolazioni delle merci e i costi. Anche in questo caso si tratta di un settore trascurato in buona parte per le ragioni già dette e in parte per la necessità di elaborare nuovi metodi di analisi delle fonti esistenti23. Se si guarda ad esempio ai Malaspina, Jacopo Paganelli ha di recente notato come tra tardo medioevo e prima età moderna alcuni marchesi mostrassero una potenzialità economica di tutto rispetto che si esplicitava nei lasciti testamentari, nell’erogazione dei prestiti, nella partecipazione agli eventi bellici con ampie dotazioni di armati e negli investimenti in campo edilizio. Le fonti che attestano questa ricchezza sono eterogenee, dallo sfruttamento dei diritti di pascolo ai redditi dei terreni, dai pedaggi ai diritti d’uso di strutture produttive, dai proventi per l’esercizio della giurisdizione agli interessi sui prestiti. Ma se da un lato siamo sideralmente lontani dalla visione di Gioacchino Volpe di marchesi «privi di ogni reddito feudale; rovinati dai debiti dalle vendite forzate, dai litigi interminabili; divisi e suddivisi in cento rami, in cento minuscole casate, padrona ognuna di poche zolle», dall’altro possiamo oggi solo ipotizzare a grandi linee le origini e le direttrici di sviluppo della loro apparentemente cospicua disponibilità finanziaria24. Anche in quest’ambito – come in quello insediativo precedentemente trattato – al problema della dispersione delle fonti in gran parte inedite si aggiunge a mio avviso anche la questione del loro trattamento, che allo stato attuale degli studi non riesce utilmente a unire alla tradizionale constatazione descrittiva dell’evento (ad esempio l’ammontare di un lascito testamentario) la comparazione sistematica dei valori tratti da diverse fonti e quindi la gestione computazionale dei dati. Per chiarire il concetto si prenda ad esempio un piccolo corpus di fonti essenziali per “quantificare” e quindi comprendere il reddito della signoria del vescovo di Luni alla fine del Duecento: si tratta di liste di censi e inquisitiones presenti per lo più nel liber magister del Codice Pelavicino, ordinate dal vescovo Enrico al fine di censire proprietà terriere, canoni d’affitto, diritti feudali o poteri giurisdizionali, compiti dei funzionari vescovili, pedaggi. La nuova edizione digitale ne facilita certamente la lettura, ma non consente ancora una analisi computazionale e nemmeno una comparazione dei testi che evidenzi i mutamenti nel tempo. I documenti CP 3 e CP 528 contengono entrambi l’indagine promossa dal vescovo sulle consuetudini e i diritti che devono esigere i saltari del castello e del borgo di Sarzana e i possessi, i redditi, i proventi e i diritti della curianell’episcopato. I due testi, estremamente lunghi – a cui si dovrebbe aggiungere anche la lista CP 56 redatta ai tempi del gastaldo Gasparino -, hanno una struttura tabellare imprecisa e coincidono per ampi tratti, rivelando in questo modo la loro natura di servizio, con contenuto aggiornabile e modificabile. L’inchiesta promossa nel 1273 per ribadire i diritti della chiesa di Luni nei castelli di Soliera, Moncigoli, Collecchia, Gassano, Ceserano e che propone un repertorio di uomini di differente condizione giuridica accomunati dalla fedeltà al vescovo, risulta materialmente spezzata in due tronconi di lunghezza più o meno equivalente: probabilmente l’antigrafo presentava in origine una struttura “aperta” all’aggiornamento e alla revisione, con appositi spazi bianchi destinati ad accogliere eventuali continuazioni o ampliamenti. Come trattare questi aspetti? Un’analisi tradizionale con inserimento manuale dei dati in un foglio di calcolo richiederebbe moltissimo tempo e non favorirebbe comunque il confronto tra le porzioni di testo coincidenti e quelle modificate25. La marcatura in xml di tutti i documenti del Codice Pelavicino (nomi di persona, luoghi, monete e struttura tabellare quando palese), benché costituisca una buona base di partenza su cui attuare ulteriori implementazioni, non è sufficiente né idonea a estrapolare correttamente la ricca messe di dati semi-strutturati che questi testi contengono. Solo un trattamento computazionale – ancora in fase di studio – potrebbe di fatto agevolare l’analisi, non solo di questi documenti fondamentali per comprendere la dimensione economica della signoria vescovile, ma anche altri documenti simili presenti in numerosi archivi nazionali26.
Un trattamento analogo andrebbe applicato per un’altra tipologia di fonte, attualmente del tutto inedita e scarsamente utilizzata, preziosa per il tema in oggetto: mi riferisco agli estimi lunigianesi di età moderna abbondanti nell’Archivio di Stato di Massa27. Un piccolo affondo sul catasto di Castiglioncello del 1551 è stato fatto nel 2013-2014 in ambito didattico entro il corso di Insediamenti tardo-antichi e medievali dell’Università di Pisa28. L’abitato e il suo circondario, che oggi conta 35 residenti, vantavano alla metà del XVI secolo 167 proprietari diversi per un imponibile complessivo di 43.535 scudi: somma indubbiamente ragguardevole anche se per capirne il valore si dovrebbe operare un confronto con gli altri “catasti” coevi in relazione anche con la qualità delle singole portate29. Una porzione del testo è stata schedata enucleando il nome del dichiarante, la provenienza, l’oggetto dichiarato (così come era espresso), indicando se usato per coltivazione, semi incolto o incolto, se maggiormente legato ad attività agricole o a raccolta e allevamento; infine sono stati registrati tuttii micro-toponimi tentando una non facile categorizzazione di questi ultimi dal punto di vista semantico. Ne sono emersi dati interessanti, pur nella limitatezza del campione preso in considerazione. Il primo riguarda la grande ricchezza della micro-toponomastica, visto che sono stati enucleati – per il solo ambito di Castiglioncello – 167 nomi diversi30, molti riconducibili a forme di uso del suolo o attività produttive segno di uno sfruttamento intenso dell’ambiente per tutte le attività che i diversi ambiti potevano consentire; tra le attività principali: orto, vigna, olivo, castagno, canapa, pascolo e raccolta di alimenti per l’allevamento. Tale sfruttamento, potremmo dire al millimetro della superfice utilizzabile per una attività più silvo pastorale che agricola, emerge dalle dichiarazioni fiscali delle diverse proprietà che vedono non solo una ampia porzione del territorio dedicata alla raccolta allevamento, ma soprattutto alle frequenti attestazioni di terreni a uso misto (es. terra, prato vignato e olivato; terra, chastagni, prativignati e arborati con una ara; terra arborata, vite),rispetto a quelli dedicati a monocoltura (vite, olivo, canapa, castagno, fig. 19)31.
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Fig. 19a Analisi degli usi del suolo su 16 dichiarazioni del Catastodi Castiglioncello del 1551. | Fig. 19b Usi misti e specializzati in valori percentuali su 269proprietà del Catasto di Castiglioncello del 1551 |
Un’analisi sistematica di questi dati un campione significativo dei “catasti” della Lunigiana di età moderna credo illuminerebbe non poco il quadro di una economia rurale e montana che, per il resto ci risulta largamente sconosciuta, se non per i dati non quantificabili che emergono dagli statuti32.
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