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I.2 – Per Lunezia! e I.3 – Storici e storie

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E. Salvatori, Il fegato del vescovo – I.2 – Per Lunezia! e I.3 – Storici e storie

La congiuntura favorevole all’ipotesi del Mazzini non si esaurì infatti nel matrimonio con le ricerche etnoantropologiche, ma trovò una spinta fortissima nella politica locale, tesa a dare maggior forza al territorio di confine tra Toscana e Liguria. Nel 1913, a quattro anni dall’articolo di Mazzini e solo due anni dopo la fondazione dell’Archivio, venne indetto alla Spezia un grande Congresso per il riordinamento amministrativo della Lunigiana, finalizzato appunto alla creazione di una nuova Provincia, ufficialmente sancita solo nel 19231. Negli atti di quel simposio, in prima posizione rispetto alle considerazioni di ordine economico e militare2, emersero potenti le ragioni storiche, etnografiche e naturalistiche che Francesco Poggi propose ai convegnisti.

I territori costituenti quella plaga nota ad antico sotto il nome di Lunigiana presentano un aspetto o perlomeno un atteggiamento, se così si può dire, francamente unitario sia dal lato geografico sia dal lato etnografico3.

A partire dai Liguri, nucleo indistruttibile e persistente della gente di Lunigiana che ne definisce i caratteri fisici e spirituali «specialmente nell’indole, nei costumi e nei linguaggi», il Poggi passò a esaminare in maniera dettagliata le argomentazioni già del Mazzini, partendo appunto dal municipio romano e dalla diocesi e raccontando fino alla contemporaneità la storia della regione, caratterizzata da «innumerevoli dominazioni che ne divisero il territorio in modo vario e instabile tra mille contrasti e mille rivolgimenti»4. I proponenti della nuova auspicata Provincia, facendo leva sulle risultanze della ricerca storica e antropologica, e costruirono quindi il mito della Lunigiana vittima di divisioni ancestrali, resistente nelle sue caratteristiche precipue a dispetto delle costanti forze disgregatrici, impedita da secoli nella sua naturale evoluzione a territorio dotato di un solo capoluogo e un unico confine. L’articolata proposta di Ranieri Porrini di una provincia di Lunigiana, con capoluogo alla Spezia, comprendente anche i territori di Massa e Pontremoli, trovò una prima e fondamentale motivazione proprio nella storia, in quanto la provincia esisteva «nelle tradizioni ed è costituita ab antiquo»5; suoi fondamenti erano

le dotte ricerche storiche del Mazzini e dello Sforza sulla composizione della diocesi Lunense … unico potere effettivo nell’anarchia di ogni ordinamento civile politico derivante dall’invasione dei barbari, dalla breve durata del Regno Longobardo e dal sorgere dal feudalesimo6.

Le speranze di una provincia di Lunigiana andarono – com’è noto – deluse, mantenendosi a tutt’oggi lo spazio della “Lunigiana storica” diviso tra due province e due regioni diverse. All’epoca, tuttavia, l’iniziativa infervorò gli animi, venne discussa, soppesata, valutata e, di fatto, consolidò nell’opinione comune quanto gli studi storici sembravano restituire alla popolazione. L’eco di quei ragionamenti portò nel 1946 alla proposta della Regione Emilia Lunense – comprendente il Levante ligure, la Toscana settentrionale e lEmilia appenninica – presentata alla Costituente su iniziativa del parlamentare parmense Giuseppe Micheli e poi abbandonata7. Nel 1989 liniziativa fu ripresa da vari politici e intellettuali: in quell’occasione venne coniato dal giudice Alberto Grassi il neo-toponimo Lunezia, area comprensiva delle attuali province di Parma, La Spezia, Piacenza, Mantova, Reggio Emilia e Massa Carrara, con l’aggiunta di alcuni comuni della provincia di Cremona e della Garfagnana8. Dopo altri vent’anni di relativo silenzio nel 2009, Valter Bay e Rodolfo Marchini, rispettivamente presidente e vice-presidente dell’Associazione Lunezia, hanno indirizzato al presidente della Repubblica una «petizione per la riapertura del caso Emilia-Lunense (oggi Lunezia)» e ancora oggi promuovono sul loro sito un «manifesto per la costituzione della regione padano-lunense» fondato sul riconoscimento di un «comprensorio culturale ed economico padano-tirrenico», che «affonda le proprie radici in antiche memorie romane», unito da un «legame storico indissolubile»9.

Nel momento in cui si scrive il progetto di creare una nuova regione tra Toscana, Emilia, Liguria e Lombardia appare quanto mai debole e votato al fallimento, ma il dato interessante è quanto ancora pretenda di fondarsi sulla storicità dei legami reciproci e sulla persistenza di confini ricavati dalle ricerche storico-etnografiche del secolo passato.

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I-3. Storici e storie

Il saggio del Mazzini ha avuto innumerevoli seguaci e un solo vero continuatore, Geo Pistarino, con un corposo saggio del 198410. Se infatti sono innumerevoli i lavori che dichiarano di riferirsi alla Lunigiana storica11, solo Pistarino ha ritenuto doveroso riprendere quanto fatto dal Mazzini per dare nuova forza e sostanza a un impianto teorico originario effettivamente debole.

Lo studioso genovese non ha quasi tenuto in considerazione quanto era emerso dall’ambito etnoantropologico, se non per fornire priorità a una caratteristica imprescindibile, l’autocoscienza:

[..] parlare di “Lunigiana storica” significa dunque cercare di vedere se esistita un’area demico-culturale “Lunigiana”, se ed eventualmente quando, come, intorno a quali dati e fatti ed a quali ideali si è formata una coscienza lunigianese.12

Tale autocoscienza viene tuttavia indagata con metodo squisitamente storico e riconosciuta anche prima del medioevo nella romanità – che ha favorito il coagularsi di un senso di comune appartenenza attestato dalle professioni medievali di legge romana -, e nel fatto di essere la Lunigiana zona particolarmente travagliata: area di strada in posizione «strategicamente determinante» e spazio «di contatto e mediazione naturale tra la ‘Padania’ e l’Italia centro-settentrionale»13. In questo lungo periodo di contrasti, che avrebbero plasmato i caratteri specifici della regione, Pistarino riconosce un ruolo specifico nell’età di mezzo «a partire dal tardo antico fino al crollo definitivo della spinta egemone malaspiniana e della potestà temporale del vescovo di Luni»14. All’interno di questa fase avrebbero costituito congiunture chiave il periodo della guerra greco-gotica fino all’arrivo dei Longobardi nella Maritima e ovviamente la cristianizzazione della valle, con costruzione della diocesi e la nascita di una «solidarietà spirituale e materiale [dell’interno] con le zone costiere, soggette alle devastazioni islamiche» che «danno agli uomini del tempo il senso della patria aggredita dal mare»15. La prima traccia sicura di una autocoscienza locale, lo studioso la riconosce nel 1085, con l’attestazione dell’antroponimo femminile Lunixana, letto come «espressione di un modo di sentire, di un’idea che si porta nella mente e nel cuore», segno che a quell’epoca la Lunigiana «come entità ‘culturale’» è compiuta16. Nelle pagine che seguono si pone in attenta discussione ciascuna delle considerazioni qui sinteticamente elencate, come anche le successive analisi dello studioso genovese relative alle tracce individuabili nella documentazione medievale e nella letteratura erudita. Basti per ora notare che il suo saggio, uscito nella seconda metà del secolo, non ha messo assolutamente in discussione l’impianto delle prime ricerche, anzi si è mosso pienamente nel loro solco, dandogli maggior vigore e sostanza e alimentando così di fatto, con la forza dell’argomentazione storica, quel processo identitario che è stato già abbondantemente illustrato e che poggia sull’esistenza di una antica realtà culturale lunigianese, travagliata, vilipesa, ma costantemente riemergente nelle pieghe del passato.

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