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I.1 – Ubaldo Mazzini & co.

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E. Salvatori, Il fegato del vescovo – I.1 – Ubaldo Mazzini & co.

Il suo creatore è stato senza alcun dubbio Ubaldo Mazzini con il saggio Per i confini della Lunigiana uscito nel 1909 nella rivista da lui stesso fondata con Achille Neri, il «Giornale storico della Lunigiana», sollecitato da un risveglio generale degli studi e degli interessi sul territorio, nel contesto politico e culturale venutosi a creare dopo l’Unità d’Italia1. Lo studioso spezzino fondava la sua costruzione sulle ipotesi di Benedetto Baudi di Vesme che vedevano, per l’Europa occidentale, una forte continuità tra l’estensione del municipio romano, la diocesi tardo romana e il comitato alto medievale2. Sulla base di tale asserzione di continuità dellimpianto amministrativo tra romanità e alto medioevo – che l’attuale ricerca storica ha destituito di fondamento – il Mazzini attribuì i confini della diocesi di Luni, così come risultavano dalla documentazione di XII secolo, ai confini della Lunigiana storica.

La proposta del Mazzini cadde in un terreno oltremodo fertile. La sua proposta venne infatti immediatamente accolta e sviluppata da altri intellettuali locali: Giovanni Sittoni, Giovanni Podenzana, Ubaldo Formentini, Manfredo Giuliani e, tra le due guerre, Pietro Settimio Pasquali. Essenziali furono in particolare Sittoni e Podenzana, interessati a sviluppare studi di carattere antropologico ed etnografico. Appena due anni dopo l’articolo del Mazzini, costoro fondarono la rivista «Archivio per la etnografia e la psicologia della Lunigiana», che presentava nelle prime pagine del primo fascicolo proprio la «carta della Lunigiana antica», disegnata sulle indicazioni del Mazzini3. Nell’introduzione al primo numero dell’Archivio gli autori si dichiararono ispirati dal «vasto movimento che va propagandosi in Italia in pro della Etnografia nazionale» al fine di «fissare l’unità del concetto della Lunigiana»4. I loro principi metodologici vedevano in retroguardia le «doti naturali» di un popolo a favore della sua evoluzione storica, esaminata però dal punto di vista del contesto geografico e di quanto era visibile e analizzabile nella contemporaneità5. Pur considerando la non perfetta coincidenza tra i limiti della Lunigiana «etnica» e di quella «storica», essi accettarono «per il momento» di fondarsi sui secondi, stabiliti dallo studio del Mazzini e coincidenti appunto con la diocesi-comitato. Esplicita la loro dichiarazione sull’unitarietà della regione, espressa, si noti bene, all’inizio e non a conclusione degli studi:

Quanto più il nostro sguardo addentrerà a scrutare le profondità dei vari aggruppamenti, tanto più ci apparerà verosimile che una stessa e unica civiltà, la quale si andò trasmettendo da gruppo a gruppo fin da quando non erano ancora fissate le condizioni di sviluppo di centri di civiltà speciali, domina tutti i gradi attuali6.

Alla fondazione della rivista seguì un’intensa ed estremamente feconda opera di raccolta e catalogazione di oggetti della cultura materiale del territorio, che andò a costituire la Raccolta Etnografica della Lunigiana presso il Museo Civico, oggi fiore all’occhiello del Museo Etnografico “G. Podenzana” della Spezia.

Le ricerche inaugurate dal Sittoni e dal Podenzana hanno avuto vari continuatori nel corso del XX secolo. Nella loro opera si riconosce chiara l’influenza del diffusionismo, la corrente di pensiero interna all’antropologia che provava a mappare le culture guardando alle forme linguistiche, all’uso di peculiari tecnologie, alla diffusione di determinate idee, costumi, modi di vita e credenze religiose. In questo modello ogni cultura ha un centro o nucleo propulsore e una periferia (normalmente più arretrata) che però fa anche da filtro osmotico per le culture vicine; i confini tra le culture vanno così a disegnare una sorta di patchwork, ove si guarda soprattutto ai processi di cambiamento culturale determinati dall’attraversamento dei riquadri della trapunta. Benché superata, questa visione presenta nel nostro caso elementi di grande interesse, non perché si possa in alcun modo applicare allo spazio lunigianese – patchwork esso stesso, privo di un unico centro e in cui la presunta periferia (crinale) è caratterizzata da valichi -, ma proprio perché è quella che si è sostanzialmente mantenuta stabile negli studi locali, storici ed etnografici.

Riguardo a questi ultimi, emergono in particolare le ricerche di Manfredo Giuliani promotore di una visione peculiare dell’etnografia e della storia: discipline vive, attuali, in stretto legame reciproco e necessarie alle comunità locali nel loro processo di auto definizione. «La ricerca teoretica è intorno al passato e il presente della Lunigiana – dice Giuliani – non è un capriccio o un verbalismo inutile, è il profondo bisogno dello spirito che vuole ritrovare orientare sé stesso, e l’attività teoretica è l’espressione creazione di un’esigenza pratica»7. Di questa impostazione ne sono attualmente eredi il Museo Etnografico della Lunigiana e l’Associazione “Manfredo Giuliani” di Villafranca in Lunigiana che intendono studiare «le condizioni socioeconomiche, il livello culturale, le credenze, le tradizioni, gli usi ed i costumi delle popolazioni lunigiane» e che si riallacciano in maniera dichiarata agli studi dell’inizio del XX secolo8. Tali ricerche, pur senza mai mettere in discussione i confini generali della Lunigiana storica, hanno tuttavia portato allindividuazione di differenti zone di «caratterizzazione etnografica», in cui fattori politici ed economici hanno influito sulla «tendenza allautoconservazione autarchica» dell’area: la bassa Lunigiana e la zona costiera (dove sono predominanti agricoltura, marmo e marineria), la media Lunigiana (agricoltura, artigianato e commercio) e alta Lunigiana (attività agro-silvo-pastorali e piccole industrie localizzate)9. Dal Giuliani fu data poi particolare attenzione all’ambiente squisitamente appenninico, alle comunicazioni di crinale o di mezza costa e all’ambito pontremolese10.

L’antropologia post-moderna del tardo XX secolo ha smontato alla base l’illusione di poter operare una completa e oggettiva descrizione etnografica11: non esiste quindi un metodo scientifico che possa farci disegnare sulla mappa i confini della Lunigiana come realtà storico-culturale del passato o del presente. Tuttavia le preziose raccolte di cultura materiale visibili nei musei locali sono etichettate come “lunigianesi” proprio in forza dei numerosi studi che le hanno recuperate, così come le molteplici iniziative culturali e turistiche sui “castelli e borghi della Lunigiana” hanno valorizzato e valorizzano ancora oggi un patrimonio riscoperto da studiosi locali in stretto contatto con la popolazione residente: tutto questo ha, in poco più di un secolo, incredibilmente rafforzato e sostanziato il concetto di Lunigiana. Potremmo dire che lo ha “reificato” o “essenzializzato”, mutuando da Fabio Dei la descrizione della tendenza dell’antropologia classica “divisionista” a disegnare le culture e le etnie come entità compatte e autonome, proprietà immutabili di gruppi umani dai confini netti12. Gli studi storici ed etnografici sono stati quindi formidabili propulsori e alimentatori nei processi locali di costruzione di identità, all’interno e attraverso i più che convenzionali confini della Lunigiana storica, grazie anche al carburante fornito da aspirazioni di tipo politico13.

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Source: https://commentbfp.sp.unipi.it/i-1-ubaldo-mazzini-co/