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II.3 – Dentro la contea

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E. Salvatori, Il fegato del vescovo – II.3 – Dentro la contea

Luni è tuttavia anche l’insediamento che ha fornito il nome alla contea (comitatus) obertenga, realtà geopolitica considerata da Ubaldo Mazzini e Geo Pistarino determinante nella costruzione dei confini della Lunigiana. Così il Pistarino:

Non sappiamo se la diocesi dell’epoca paleocristiana ed il comitatus Lunensis del periodo carolingio coincidessero tra loro esattamente nei limiti confinari. Comunque, il territorio venne ad acquistare, con il comitato, una propria figura giuridica ed istituzionale definita, che ricalcava, in parte, lo spazio sud-orientale della Provincia Marittima Italorum bizantina, ed offriva, nonostante l’intrico e la complessità del sistema feudale, un primo spunto di governo unitario1.

Anche in questo caso, la rilettura delle fonti sulla base degli avanzamenti recenti della storiografia ci consente di chiarire meglio i termini della questione. Innanzitutto, si deve ribadire che non abbiamo alcuna attestazione chiara, nemmeno indiretta, che Luni sia stata nel periodo carolingio sede di un comes. Certamente era una civitas di un certo rilievo, come dimostrano gli scavi alla cittadella vescovile e alla cattedrale già menzionati, tuttavia non abbiamo indicazioni di sorta sulla presenza a Luni funzionari carolingi, fossero questi ancora espressione del domino longobardo o meno. Sotto Carlo Magno in Tuscia troviamo attivi duces prima di origine longobarda e in seguito franca a Lucca, Firenze, Chiusi e Pistoia2; sappiamo inoltre che i comitati carolingi erano modellati per lo più sulla base di circoscrizioni amministrative precedenti o coeve, ma non abbiamo la benché minima idea in che modo questo abbia riguardato il territorio intorno a Luni, perché ci mancano del tutto notizie su una distrettuazione lunense precedente o coeva all’avvento di Carlo Magno3.

L’unico atto che vede un funzionario carolingio agire nello spazio lunense è la già citata fondazione del monastero di Aulla dell’884 ad opera del conte e marchese di Lucca Adalberto I. Se già il nonno Bonifacio era – come pare – detentore di potere giurisdizionale su Lucca e Pisa, forse anche su Pistoia, Luni e Volterra, con Adalberto abbiamo invece la formazione di un dominio esteso su gran parte della Toscana centro settentrionale, come indirettamente la stessa fondazione dell’abbazia di Aulla conferma4. Questo, tuttavia, non significa che esistesse all’epoca un comitato di Luni sottoposto alla marca di Tuscia: al contrario, gli studi recenti avvertono di come nei secoli IX e X non fosse ancora formata l’idea di una “marca”, cui fossero gerarchicamente sottoposti territori afferenti ad una “civitas”chiamati “comitatus”5.

In realtà il comitato di Luni è attestato solo più tardi, in particolare nel 937, quando il re d’Italia Ugo donò alla futura moglie Berta alcuni beni distribuiti in comitatu Lunensi: Aulla con 100 mansi, l’abbazia di Valeriana con altri 100, le corti di Valle Plana, Comano e Nova con rispettivamente 40, 60 e 60 mansi6. Quasi tutte le località nominate sono già citate nel documento di fondazione del monastero di Aulla e si trovano nella bassa Lunigiana7. Anche se non è lecito dare peso eccessivo alla prima attestazione, dobbiamo comunque rilevare che questa relativa al comitato di Luni rientrerebbe perfettamente nella strategia perseguita da re Ugo nei confronti della marca di Tuscia, tesa a disaggregare la struttura del potere marchionale. Il sovrano cercò infatti di depotenziare la marca collocando suoi familiari nell’ufficio, richiamando funzionari e vassalli marchionali al suo servizio e creando nuovi conti. Sappiamo per certo che questo avvenne per Firenze, Pisa e Volterra, possiamo invece solo ipotizzarlo per Luni8.

Purtroppo, la donazione del 937 cita il comitato di Luni solo come spazio amministrativo in cui sono collocati alcuni beni e non indica chi detenesse all’epoca la carica, che circa un secolo dopo vediamo in mano agli Obertenghi: Alberto Azzo I, nipote del capostipite Oberto9. Quest’ultimo fu tra i più altiufficiali del regno italico tra 945 e il 972 e fece parte di quegli uomini nuovi” che costruirono la propria fortuna politica e patrimoniale muovendosi con abilità all’interno delle lotte per il predominio del Regno d’Italia tra X e XI secolo. La sua ascesa si verificò proprio nel corso del regno di Ugo di Provenza e di Lotario (926-950), mentre il consolidamento del suo potere è da collegarsi ai regni di Berengario II e Ottone I10. Nulla purtroppo sappiamo delle sue origini, nulla della base patrimoniale di partenza: le fonti in sostanza non ci dicono, né ci fanno intuire, una sua frequentazione a diverso titolo dello spazio lunigianese anteriormente o posteriormente alla sua ascesa politica. E’ attestato come marchese nel 951 e poi come conte del Sacro Palazzo nel 953: gli venne quindi data la titolarità di una delle tre “nuove marche” create da Berengario II, quella che gli studiosi hanno battezzato – in assenza di attributi ricavabili daidocumenti – marca della Liguria orientale”. Il nome, però, le deriva esclusivamente dalla posizione geografica dei comitati di Luni, Genova e Tortona che in momenti diversi videro i membri della famiglia agire come marchesi e conti11.

In sostanza, a partire da re Ugo, forse per sua diretta volontà, riconosciamo la nascita di una circoscrizione amministrativa del Regno d’Italia avente come punto di rifermento la città di Luni, ma non siamo in grado di sapere se vi operasse fin dall’inizio e con continuità un comes, né se il titolo sia stato fin dalle origini saldamente in mano agli Obertenghi. Troviamo in realtà nel 998 un vicecomes di Luni, tale Rollando, testimone a un atto redatto a Carrara, in cui il marchese Oberto II – figlio del capostipite – promette al vescovo Gottifredo di non esigere alcun diritto su quattro pievi che erano sub regimine episcopii12.Il documento costituisce la prima attestazione dell’interesse degli Obertenghi per lo spazio lunigianese e una conferma indiretta del fatto che il controllo del comitato di Luni rientrasse nell’ambito della loro giurisdizione marchionale.

Se mancano attestazioni di Obertenghi nella funzione di conti di Luni fino alla prima metà dell’XI secolo, ci sono invece rimaste diverse menzioni del comitato, inteso esclusivamente come circoscrizione, spazio extra-cittadino funzionale alla collocazione e individuazione di beni immobili. Vediamole rapidamente.

Due livelli del vescovo di Lucca, rispettivamente del 976 e del 986 posizionano in questo modo beni pertinenti alla sua chiesa: i terreni del primo livello si trovano infra chomitato lunense ubi dicitur Viscignano e quelli del secondo presso la pieve di S. Vitale e di S. Giovanni infra chomitato Lunense13. Purtroppo, non conosciamo l’ubicazione di Visignano, che per Ubaldo Formentini andrebbe identificata con Luscignano nella pieve di Codiponte, diocesi di Luni14; conosciamo invece bene la chiesa di S. Vitale a Massa, in seguito annoverata tra le pievi della diocesi di Luni15. Si tratta quindi di due casi comparabili, in cui l’uso del termine “comitato” appare funzionale alle necessità del prelato lucchese di identificare propri beni posti fuori dalla sua giurisdizione spirituale.

Nel 1027 Corrado II cede al vescovo di Luni Guido il monastero di S. Pietro di Brugnato posto in comitatu Lunense, con tutti i suoi beni distribuiti in altri comitati: Luni, Genova, Modena, Piacenza, Lodi e Volterra16. Si tratta di un diploma che ha fatto molto discutere, in quanto labbazia di Brugnato non è mai stata – anteriormente o posteriormente a quella data – soggetta allordinamento diocesano lunense: il documento è quindi probabilmente solo traccia di un tentativo fallito di estendere il controllo episcopale sul monastero17. La collocazione dell’ente nel comitato di Luni, come l’elencazione dei beni negli altri comitati, appare perfettamente in linea con la matrice imperiale del documento.

Medesima logica la riconosciamo nella fondazione del monastero di S. Maria di Castione dei Marchesi (PR) da parte del marchese obertengo Adalberto II e sua moglie Adelaide, avvenuta col consenso del marchese Ugo, conte di Tortona nel 103318. Il testo esprime in maniera chiara la consapevolezza che l’autore aveva di come fosse organizzato l’Italicum regnum, ossia in città

[res] quas habere visi sumus tam infra civitatem Ticinensem quamque et in civitate Mediolanense et infra civitatem Terdonensem, Placentia et Ianuensis et Lunensis

e nei territori / comitati rispettivi

et foris ipsas civitates in comitatibus Ticinensis, Mediolanensis, Commensis, Bergamensis, Brisiensis, [..]

I beni si trovavano quindi o nei centri urbani o al loro esterno, nei comitati, meri contenitori di beni qualificati dal riferimento alla città19. Nei comitati di Genova e di Luni sono elencate, senza distinzione, località note assieme ad altre di non facile identificazione: Quinto, Rapallo, Lavagna, Sigestro (Sestri Levante), Monelia (Moneglia), Carodano (Carrodano), Arramo (Padivarma?), Lucunianum (Luscignano?), Calese, Valeriano, Ariana (Piano di Valeriano?), Arcula (Arcola), Cuccarallo (Cuccaro?), Corte de Massa (Massa?), Filiterio (Filattiera?), Suprano, Serraplana (Serrapiana?), Cuscuniano (presso Aulla). Come si vede i punti interrogativi abbondano e non consentono di delimitare nemmeno in maniera abbozzata lo spazio che Adalberto II considerava relativo specificamente al comitato di Luni20. Lo possiamo fare invece con maggiore agio grazie al diploma di Enrico IV a Ugo e Folco, figli del marchese obertengo Adalberto Azzo redatto probabilmente nel 107721 e poco meno di un secolo dopo in un diploma di Federico I a Opizzo Malaspina22.Se collochiamo le località indicate in una mappa, emerge un areale vasto, più ampio del bacino Magra-Vara, che ricalca – ma solo a grandi linee – il disegno della diocesi così come si rivela alla metà del XII secolo.

comitato_di_Luni
Fig. 1 Località presenti nel comitato di Luni nel 1077 (giallo) enel 1164 (verde)
GIS consultabile all’indirizzohttps://tinyurl.com/ConfiniLunigianaGIS

Quale fosse l’ampiezza del comitato di Luni quando era una realtà circoscrizionale pienamente operante non ci è quindi dato di sapere, ci sono tuttavia elementi per ipotizzare che il breve periodo di operatività abbia avuto una scarsa influenza nella percezione dello spazio dei residenti. Lo intuiamo dal fatto che tutte le attestazioni provengono da attori inclini per ruolo a dare evidenza alla strutturazione tradizionale e istituzionale del territorio e usano il termine nel significato esclusivo di spazio geografico esterno alla civitas di Luni23.

Tale uso è stato per altro ridotto anche da parte degli stessi Obertenghi. L’unico atto che vede un obertengo definirsi conte di Luni, rogato nel 1050 ad Arcola, riguarda la donazione alla chiesa di San Venerio del Tino di beni posti in una località oggi scomparsa (Fenoclaria), ma non specifica se questa si trovasse all’interno o all’esterno del comitato24.Negli anni immediatamente successivi altri membri del medesimo ceppo familiare, sempre operanti ad Arcola, donano beni che potrebbero a pieno titolo essere collocati in comitatu Lunensi, ma il complemento di luogo non è menzionato e gli attori si fregiano del solo (e più prestigioso) titolo di marchese25. Alla stessa maniera il comitato non è usato dal vescovo di Luni per ubicare i beni che egli cede a livello o in permuta o sui quali ha in corso controversie nella prima metà del secolo26.

Il fenomeno dell’uso ridotto di termini indicanti le circoscrizioni pubbliche del regno italico nella documentazione tra X e XI secolo è ben noto agli studiosi. Da tempo le ricerche sulla organizzazione dei territori di centro e nord Italia nel periodo indicato hanno messo in luce come i depositari dei titoli marchionale e comitale agissero inquesto periodo come ufficiali e dinasti allo stesso tempo. Pur titolari di un ufficio relativo a una marca o a un comitato, marchesi e conti investivano gran parte delle loro energie soprattutto a consolidare il potere della propria famiglia e lo facevano potenziando il patrimonio fondiario variamente acquisito. Questa ambivalenza, unita alla variabilità dei contesti, ha portato alcune famiglie a radicarsi come signori là dove effettivamente espletavano anche i loro uffici istituzionali; in altri casi il rafforzamento delle casate si andò invece strutturando al di fuori o in aree intermedie tra le distrettuazioni. In questo processo le famiglie comitali e marchionali da un lato mantennero ben stretto il titolo di ufficiali del Regno, ma dallaltro fondarono in misura crescente la propria potenza non tanto sullesercizio dei poteri pubblici, quanto sullinsieme delle terre, delle clientele vassallatiche e del prestigio che esse si erano costruite allinterno della contea o marca di cui erano titolari, oppure in altri luoghi più o meno vicini27. Il fenomeno dello sviluppo signorile, che si replicò a tutti i livelli  e riguardò anche i vescovi e le loro clientele vassallatiche, disgregò quindi, in tempi e modi diversi, la distrettuazione amministrativa del Regno, anche se quest’ultima sopravvisse nella terminologia degli atti pubblici e privati in casi specifici.

In sostanza, il territorio del comitato di Luni nella prima metà dell’XI secolo appariva ai suoi abitanti non come una circoscrizione definita e unitaria, ma come un mosaico di signorie di diversa caratura e appartenenza, facenti capo agli Obertenghi e ai loro vassalli, al vescovo di Luni e ai suoi vassalli, a signorie indipendenti di stampo monastico e laico. In questo mosaico il marchese e conte di Luni godeva indubbiamente di grande prestigio e di potere, che tuttavia non dipendevano tanto dal possesso del titolo, quanto piuttosto dall’unione tra titolo, base patrimoniale e rete delle milizie fedeli che era riuscito a costruirsi nel territorio.

In diverse parti del Regno gli interessi della dinastia comitale o marchionale tesero di norma a concentrarsi nelle aree dell’originaria circoscrizione amministrativa, in cui la famiglia disponeva in genere dei patrimoni fondiari più consistenti, su cui era possibile costruire castelli, organizzare una nutrita clientela vassallatica e tentare la creazione di un dominio relativamente compatto. Questo modello non è tuttavia applicabile agli Obertenghi, che fino ai primi decenni dellXI secolo appaiono perseguire una politica di ampliamento generalizzato del patrimonio, in luoghi fra loro distanti e sovente estranei agli originari confini delle contee amministrate. Alla metà del secolo, l’insieme delle terre obertenghe appare troppo vasto e disperso per poter rispondere a qualsiasi strategia di ricomposizione territoriale28.

Protagonista principale fu molto probabilmente il capostipite, Oberto, che, occupando per un ventennio l’altissima carica di conte del sacro palazzo, ebbe modo di controllare beni del fisco regio e patrimoni monastici sparsi per l’Italia centro settentrionale. Nell’arco di una settantina danni Oberto e i suoi immediati successori divennero la famiglia più potente del Regno, accumulando una ricchezza fondiaria enorme, diffusa fra Piemonte meridionale, Liguria, Toscana e pianura padana, con estensioni anche intorno a Ferrara, Veneto occidentale e Corsica. Tra 1033 e 1077 i beni di cui i marchesi risultavano disporre a pieno titolo erano distribuiti in ben 25 contee e si trovavano – con la sola eccezione di quelli collocati nel comitatus di Luni e in misura minore in quello di Tortona – in gran parte al di fuori del territorio della “marca della Liguria orientale”. Una consistenza patrimoniale così elevata ha fatto pensare che gli Obertenghi avessero perseguito una strategia politica di ampio respiro, tesa forse ad ambire alla Marca di Tuscia o addirittura al Regno d’Italia. Il fallimento di tali ambizioni – da mettere in relazione alla sconfitta del fronte arduinico nel 1014 – spinse probabilmente i membri della famiglia a spartirsi i beni e a perseguire strategie patrimoniali distinte. Una prima divisione del patrimonio obertengo con la separazione nelle due linee obertina e adalbertina si ebbe probabilmente nel periodo successivo alla già menzionata sconfitta(1014 – 1033); nella prima metà del XII il ceppo appare diviso in quattro rami – Este, Massa-Corsica, Pelavicino, Malaspina – ciascuno con aree di azione e di influenza privilegiate, ma non nettamente distinte fra loro.

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