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I – L’invenzione dei confini

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E. Salvatori, Il fegato del vescovo – I – L’invenzione dei confini

Cosa indica il confine di un’entità territoriale? A seconda del contesto può rappresentare una barriera contro chi è percepito come nemico o una linea che si oltrepassa agevolmente tutti i giorni per recarsi al lavoro; può anche delimitare, senza possedere un chiaro percorso sulla mappa, un’area dotata di determinate caratteristiche culturali, linguistiche e paesaggistiche o ancora uno spazio a cui si sente di appartenere per ragioni storiche, familiari e culturali non meglio definibili1. Stante questa estrema varietà di approcci, quali enti e/o “esperti” e in relazione a quali eventi e contenuti possono tracciare i confini di una “regione storica”? Se ci limitiamo a considerare le realtà politico-amministrative la risposta è relativamente semplice. La ricerca storica, stante la disponibilità delle fonti, ha infatti una discreta facilità nell’esaminare i diversi contesti in cui un toponimo – nel nostro caso il termine Lunigiana – possa essere emerso nel passato con una valenza geopolitica. Le cose si fanno però enormemente più complicate quando alle occorrenze documentarie si conferisce il potere di riempire lo spazio individuato di contenuti specifici: particolarità etnografiche, usi e costumi, modi di dire, esperienze umane e culturali2. Se è proprio del mestiere di storico riconoscere in un territorio le dinamiche tra diocesi, comitati, feudi, comuni, province, ducati e regni, a cui si devono legare anche le analisi sulle strutture economiche e sociali sottostanti, capire la relazione tra queste dinamiche e le specificità culturali di una popolazione, il senso di appartenenza o la percezione dello spazio nel tempo, è operazione di complessità estrema e con implicazioni di enorme rilievo, che esula dai compiti specifici della disciplina storica, ma che ad essa è fortemente correlata3. Lo dimostra appunto la storia dei confini della Lunigiana.

Convenzionalmente la Lunigiana storica la si fa coincidere col territorio medievale del comitato-diocesi di Luni, realtà ecclesiastico-amministrativa che tuttavia è mutata nel tempo, che non ha mai avuto una vera continuità territoriale e che certamente non mai ha costituito per la vita quotidiana delle persone residenti in quello spazio un vero e proprio punto di riferimento. Posta, come dice Gioacchino Volpe, «dove Toscana viene morendo e Liguria non è viva ancora, e dove le larghe valli ed i colli vitiferi e granigeri cominciano a diventare montagne aspre, boscose o nude, battute da greggi di pecore o dal piccone del minatore»4, priva di centri urbani di rilevo e denominata da una città – Luni – che nel medioevo centrale è poco più di un villaggio, ha assunto nel tempo connotati e identità variabili.

Se prendiamo come griglia concettuale il contesto geo-morfologico – ossia il bacino idrografico del fiume Magra comprendente anche la Vara – e si guarda agli aspetti che da quel contesto possono essere stati maggiormente determinati, ci si rende facilmente conto che vocazioni agricole, viabilità, strutture abitative, tessuto insediativo, fino anche le devozioni religiose, colorano e hanno colorano l’ipotetica mappa storica lunigianese in modo quasi mai congruente ai confini convenzionali suddetti, come ai quadri politico-amministrativi che via via si sono venuti a creare5. Morfologicamente la valle del Fiume Magra presenta infatti differenze significative tra le porzioni medie e alte del bacino, caratterizzate da un alveo inciso in un rilievo montuoso e collinare, e il tratto finale, in cui l’alveo scorre in un ampio fondovalle alluvionale. La fascia collinare del bacino ha un’altitudine media di 400-500 metri sul livello del mare, mentre la zona montana appenninica è punteggiata da rilievi che superano in qualche caso i 2000 metri di quota, alcuni dei quali, appartenenti al gruppo delle Alpi Apuane, si collocano in sinistra idrografica a breve distanza dal mare. Il clima è di tipo mediterraneo sub litoraneo con piovosità abbondante e nebbia nel fondovalle nella stagione autunnale e subordinatamente in quella primaverile. La copertura vegetale prevalente nelle zone interne è il castagno, mentre sui pendii della fascia meridionale e litoranea abbondano olivi, viti e macchia mediterranea. Il fiume Magra si sviluppa per 62 km dal monte Borgognone al Mar Ligure: il suo principale affluente è il Vara che si dispone per gran parte del suo corso parallelamente alla costa ligure di levante; il resto del reticolo idrografico è fitto ed a prevalente carattere torrentizio6. Le diversità evidenti tra le aree interne montane e il fondovalle, tra le valli laterali e la fascia marittima hanno ovviamente determinato scelte diverse di uso del suolo e modalità differenti di insediamento, che sono a loro volta mutate nel tempo per il convergere di più fattori anche politici. Solo a titolo d’esempio, il promontorio del monte Caprione tra Lerici ed Ameglia -il fegato del vescovo» appunto-, oggi sede di un parco naturale regionale aveva nel medioevo un aspetto completamente diverso: la superficie era fittamente coltivata, intervallata da piccoli insediamenti prevalentemente a carattere sparso, strutture portuali e di servizio; un quadro a sua volta molto differente da quello che, nel medesimo periodo, doveva caratterizzare la media Val di Vara o l’alta valle dell’Aulella7.

Guardando a questi aspetti la domanda se la realtà “Lunigiana” nel medioevo abbia mai avuto una qualsivoglia sostanza sorge assolutamente spontanea. La risposta, che si articolerà nel prosieguo del testo, ha tuttavia un’importanza relativa, perché l’oggettivizzazione della Lunigiana storica, avvenuta nel secolo scorso, è ormai processo compiuto8. In sostanza: se mai è esistita, ora certamente esiste, anche se – come vedremo – è percepita dai suoi abitanti in maniera sostanzialmente diversa da quella promossa dalla storiografia scientifica9.

I confini della Lunigiana storica sono stati infatti elaborati da uno studioso locale all’inizio del XX secolo e immediatamente accettati e presi a fondamento per studi di ambito antropologico ed etnografico. Da quel momento in poi sono stati lievemente corretti, implementati e, in seguito, largamente e acriticamente accettati, a dispetto dei cambiamenti intervenuti nella ricerca storica e antropologica. Tale processo di acquisizione e accettazione è stato talmente largo, capillare e continuo nel tempo che, a prescindere dall’esistenza o meno della Lunigiana come entità geograficamente circoscrivibile anteriormente al ‘900, possiamo dire che oggi la regione esiste senza alcun dubbio e rientra, grossomodo, entro i confini disegnati all’inizio del secolo scorso. Questo non perché quell’operazione fosse scientificamente fondata, ma perché ha avuto un enorme successo e ha dato risposta a esigenze reali del territorio, trasformandosi da ipotesi ad assunto condiviso. Parafrasando il celebre personaggio di animazione Jessica Rabbit, possiamo dire che la Lunigiana non è una regione storica, l’hanno disegnata così10.

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Source: https://commentbfp.sp.unipi.it/i-linvenzione-dei-confini/